Anastasia Ivanova |
Io, una volta, ho avuto la fortuna di provare come certi capelli, completamente arruffati, cadendo come un sipario sulla mia pelle, provocassero un piacevole prurito che moltiplicava la vertigine delle carezze. Era bello passarci le mani, sentire come le dita, infrenandosi, venivano catturate, e per non farle del male, dovevo sfilare le mani lentamente, ma così lentamente che tutte le volte lei mi diceva se le stavo facendo uno shampoo.
Già, uno shampoo. Era bello fare uno shampoo alla Maga in quei giorni freddi di febbraio di chissà quanti anni fa, in una camera d'albergo neanche troppo triste, carnevale era finito, erano giorni feriali di vento e pioggia, l'unico modo forse ancora oggi per non sentirsi soffocati, a Venezia. Chissà se quelle ombre infreddolite, che camminavano strette su ponti e calli, verranno ogni tanto riproiettate anche nella sua memoria - in maniera più nitida di quanto accade a me. Io, infatti, per quanto mi sforzi, non riesco a sentire più il peso leggero del suo braccio che prendeva il mio, vedo solo una scena fuori, di pioggia orizzontale, sotto un portico vicino San Marco, il suo volto livido che mi chiedeva di riportarla in camera, eravamo mezzi, una doccia calda e poi le lenzuola grigie sulle quali vedo i capelli della Maga invadere entrambi i cuscini, un bouquet di ruggine e vinaccia, il desiderio, le mani sulle reni, il dire basta, piano, adesso vieni qui accanto a me. Stop.
«Perché
stop? Per la paura di incominciare le fabbricazioni, sono tanto
facili. Tiri fuori un'idea qualunque, dall'altro scaffale un
sentimento, li leghi con l'aiuto di qualche parola, cagne funeste, e
risulta che ti amo. Totale parziale: ti desidero. Totale generale: ti
amo. Così vivono molti amici miei, senza contare uno zio e due
cugini, convinti dell'amore-che-si-sente-per-la-moglie. Dalla parola
agli atti, sai; generalmente senza verba non c'è res. Quel che molta
gente definisce amare consiste nello scegliere una donna e
sposarla. La scelgono, te lo giuro, l'ho visto con i miei occhi. Come
se si potesse scegliere in amore, come se non fosse un fulmine che ti
spezza le ossa e ti lascia lungo disteso in mezzo al cortile. Tu
dirai che la scelgono perché-la-amano, io invece credo che avvenga
tutto all'aicsevor. Beatrice non la si sceglie, Giulietta non la si
sceglie. Tu non scegli la pioggia che t'inzupperà le ossa all'uscita
di un concerto. Ma solo nella mia camera, cado in artifizi di scriba,
le cagne funeste si vendicano come possono, mi mordono rabbiose sotto
il tavolo.»
Julio Cortázar, Rayuela,
Buenos Aires 1966, ed. it, Il
gioco del mondo, Einaudi, Torino
1969, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini
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