Per quanto
fallace sia dire “la verità”, credo che, in fondo, quello che
t'ho detto a voce dianzi non sia tutto, cioè non sia
sufficiente, non completi e non esaurisca la motivazione, lo sprone.
In altri termini, ciò che mi spinge tutti i giorni (o quasi) a
espormi, con pensieri parole opere e omissioni (per mia colpa, miacolpa, mia grandissima colpa) è mera pornografia. Che altro sennò?
Oh, certo, non di quella classica che uno va in giro coi genitali di
fuori a infilare buchi o viceversa, tutto perbenino depilato e con
qualche tatuaggio al posto giusto, ché oggi i peli pubici vanno poco
di moda, fanno poca tendenza, è un filone marginale oramai quello del pelo. Il
copione è sempre lo stesso: attrazione fulminea, erezioni,
disposizioni, leccamenti, movimenti, avvenimenti spesso facciali e
poi si sfoca, questo è il vero scopo di questo mio privatissimo
myporn. Mi espongo quanto basta per dimostrare al mondo che sono in
tiro, che i miei pensieri, espressi sotto forma di parole, non sono
altro che la rappresentazione del mio amplesso quotidiano con la
realtà. Un corpo a corpo col reale, insomma, dove a volte capita di
godere, altre di soffrire, altre ancora di restare indifferenti e
sentire che la vita mi scorre addosso senza averne “presa”,
ovvero senza “essere stati presi” da essa comme il faut.
Ogni giorno che
passa è un giorno in meno e io qui, anche adesso per esempio, a
occhi semichiusi, per il sonno e una fatica leggera, non rinuncio a
questo vizio, a questa virtù dopo la virtù. E
mi viene in mente, in maniera nebulosa, un saggio di teoria morale di
Alasdire MacIntyre, After Virtue, tradotto
prima da Feltrinelli e poi ristampato da Armando. Bene, se la memoria
non mi inganna, in tale saggio v'era un certo discorso su una certa
unità narrativa che
contraddistingue l'individuo dalla nascita sino alla morte:
«L’uomo
nelle sue azioni e nella sua prassi tanto quanto nelle sue finzioni,
è essenzialmente un animale che racconta storie. Non è
essenzialmente, ma diventa attraverso la sua storia, un narratore di
storie che aspira alla verità [...]La narrazione di storie [è] una
parte fondamentale della nostra educazione alle virtù».
Ora, fatto salvo che io non aspiro alla verità, cerco tuttavia di educarmi alle virtù, nel senso classico del termine (areté e virtus) per cercare di condurre una vita buona, intesa di cose buone fatte, godute e partecipate, vizi compresi.
Ma soprattutto m'interessa molto il concetto di unità narrativa, non tanto per narrare
il proprio successo o il proprio
fallimento, quanto per il fatto stesso che (m'illudo) la vita raccontata
sia una vita raddoppiata. E il doppio, di
solito, ce l'ha più lungo dell'originale, vero Hide?
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