lunedì 25 maggio 2015

Lavoratori



« La mia vita attiva, se mai ne ho avuta una, è finita quando avevo sedici anni. Ho catturato un posto... e il posto ha catturato me... Le cose veramente importanti, per me, sono successe prima di quella data... Dicono che la gente felice non ha storia: be', non ce l'hanno neanche quei disgraziati che lavorano negli uffici di assicurazione ».
George Orwell, Coming Up for Air (1939), ed. it. Una boccata d'aria, Mondadori, Milano 1966

In un frammento di un comizio elettorale, ho sentito il presidente del consiglio affermare che, ad urne chiuse, più importante del conto delle bandierine della vittoria, sarà contare i posti di lavoro che si saranno creati a livello nazionale – grazie all'azione politica del governo che presiede.
Posti di lavoro. È una gran passione quella di far lavorare la gente. Certo, data la situazione, per chi non ha il privilegio di vivere di rendita, vendere la propria forza lavoro è una necessità, e trovare chi l'acquista è, a giusto titolo, una fortuna.

Ieri sera, da Fazio, Piero Angela ha rammentato un famoso proverbio che dice: «Trovati un lavoro che ti piace e avrai la fortuna di non lavorare tutta la vita». Bene, nella nostra epoca, quanti sono coloro i quali hanno trovato un lavoro che gli piace e, invece, quanti sono coloro che, no, non l'hanno trovato, anzi: è il lavoro che ha trovato loro, visto che così assiduamente lo cercavano a prescindere che gli piacesse o meno?

Così, a occhio, direi che non c'è partita: i secondi, quelli che sono impiegati in un lavoro che non gli piace, sono indubbiamente la maggioranza (quasi assoluta). Con ciò non si sostiene assolutamente che essi svolgono il loro lavoro con negligenza e scarso senso del dovere. Tutt'altro. Il punto è che frequentemente le ambizioni professionali di ciascheduno si scontrano con le offerte occupazionali proposte dal mercato del lavoro - e le possibilità di non lavorare lavorando, ovvero lavorare divertendosi, cozzano con quello che il mercato del lavoro richiede...

Eppure c'è chi riesce a stare fuori dagli obblighi lavorativi e non fare praticamente un cazzo da mane a sera, senza pensieri, se non quelli di controllare i listini di piazza Affari o Wall Street (rentier capitalism) oppure quelli di vivere come gigli nei campi, come gli uccelli del cielo campare.
Considerato il perimetro esistenziale in cui vivo, non mi è dato conoscere i primi (se non superficialmente, attraverso resoconti di terzi), mentre più facile è imbattermi nei secondi. Di uno di questi ultimi, racconto un episodio.

Qualche anno fa, in un bar, un signore pensionato, al clochard che gli chiedeva un euro per bere un bicchiere di rosso, rispose che sì, gliele avrebbe dato un euro, però a condizione che prima gli andasse a zappare l'orto. Al che, a voce alta e con sguardo severo, richiamando così l'attenzione di tutta la platea del bar, il clochard rispose: «Sentitelo bellino, vuole che vada a zappargli l'orto: non ho mai lavorato tutta la vita e ora vado a zappare l'orto a lui, sta' a vedere…» e se ne andò via libero, con una risata fragorosa che contagiò tutti quanti noi, prigionieri del nostro lavoro.

3 commenti:

Rachel ha detto...

Il barbone che incontro spesso campa di elemosina. Mi ha raccontato che riesce a mangiare, bere e fumare tutti i giorni ed un posto per dormire gratis ce l'ha.
Ha concluso dicendo : "Ed io secondo la gente sarei lo scemo del villaggio... "

Marino Voglio ha detto...

...ce potrei scrive' un trattato, ma sarebbe un lavoro, e chi me lo fa fa'.

solo per osservare che se fai un lavoro che ti piace presto non ti piacerà più; e così ti troverai con un lavoro che non ti piace e senza una attività che ti piaceva. attenzione...!

(il mio mito personale è il Belli che in virtù di una concatenazione di eventi andò in pensione a 19 anni...)

UnUomo.InCammino ha detto...

Come mi raccontavano, gli anglosassoni hanno un pensiero saggio sul lavoro: dovrebbe essere moderatamente gradevole.
Nulla di più saggio. Se è una passione ti fagocita, se lo detesti ti rovina la vita.

Infine, esopo, raccontava già a suo tempo che il lupo, per quanto scarno, abbandonò il pingue cane col collo spelacchiato dal collare della catena del padrone.