Si sono salutati e, senza neanche conoscerlo per nome, con la figlia seduta dentro il carrello del supermercato, gli ha raccontato un quarto di vita in neanche un quarto d'ora, giusto per la combinazione di essersi riconosciuti come frequentatori dello stesso luogo ove assolvere, in misure e maniere diverse, la vendita di sé, per ricavare che, la spesa appunto. E lo guardava negli occhi mentre parlava e quegli occhi sorridevano perché la stava ascoltando - finalmente qualcuno che ascoltava - perché capiva che la stava capendo, o cercando di farlo, senza fare finta, soprattutto senza dare risposta, perché tanto i suoi occhi non cercavano risposta, solo ascolto, perché avevano intuito che lui, probabilmente, stasera ne avrebbe parlato, avrebbe cercato di tratteggiarli, come se lo avesse ritenuto capace di restituire la luce di pesca e il candore trasmessi dal volto (perché lei si sentiva nel volto quella luce e quel candore e gliel'aveva detto, con una certa euforia). E il lento scendere sul nastro trasportatore verso il parcheggio - sempre lei parlando - e il proseguire verso le auto casualmente vicine, le ha dato la conferma - mentre caricava figlia e spesa in macchina - che certi incontri non avvengono mai per caso, oppure che il caso ha una sua propria eleganza nel disporre certi incontri che sarebbe un peccato, contro il caso e l'eleganza, non provare a dipingere.
3 commenti:
Ma che bellezza! e diventa apoteosi all'aprirsi del link sulla tela di Renoir...
Sissì, un peccato sarebbe, anzi (di omissione) un delitto, ergo: continua a dipingere (oltre ad andare al supermercato :-)).
I tuoi racconti ambientati al supermercato mi piacciono sempre tanto.
Grazie a entrambe. Il problema è che escono fuori meno frequentemente delle offerto sottocosto.
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