La copertina di Internazionale della settimana in corso è dedicata a un articolo dell'Economist su La ritirata delle multinazionali, le quali, ciccine, «dopo decenni di crescita [...] cominciano a ridimensionarsi e tornano a casa», Lassie.
Perché tornano a casa? Sono numerose le cause e tutte complicate, contorte, fuorvianti. La principale è attribuita a una sorta di nazionalismo di sottofondo, riassumibile in due nomi: Brexit e Trump, dai quali deriva un inceppamento della globalizzazione così come finora è stata intesa (liberalizzazione dei mercati, dei capitali, delocalizzazione). Tutte cose risapute.
In un passo del post odierno di Olympe de Gouges, leggo:
«la produzione capitalistica ha come scopo la conservazione del valore-capitale esistente e la sua massima valorizzazione, vale a dire l’accrescimento accelerato di questo valore.»
Orbene, se nelle sue prime decadi, la globalizzazione ha garantito accrescimento accelerato di valore al Capitale, attualmente le multinazionali non riscontrano più risultati positivi con la globalizzazione. E, secondo l'Economist,
«La ragione di fondo [...] è che non ci sono più i vantaggi di una volta. Le multinazionali hanno enormi spese, filiere complesse, organizzazioni tentacolari difficili da gestire. Le opportunità offerte dai mercati esteri si sono esaurite»
Orbene, perché si sono esaurite non è dato sapere. Si sono esaurite e amen, la messa è finita, accontentatevi lettori, non indagate ulteriormente, non fatevi domande simili: perché se prima, pochi anni fa, le enormi spese, le filiere complesse, le organizzazioni tentacolari difficili da gestire erano indispensabili per ottenere una notevole valorizzazione del capitale investito, adesso, invece sono ostacoli. Qualcosa si è inceppato. Che cosa?
Nelle dieci colonne e mezzo dell'articolo dell'Economist non ho trovato risposta, se non i soliti effetti scambiati per cause. Le risposte convincenti sono da Olympe.
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