Sono costretto dentro un silenzio che non mi appartiene, ma - come dire, come specificare - lo scrivere, anche a costo di eventuale fatica dovuta a spremitura cerebrale (la sera, mio momento prediletto per farlo, ultimamente mi capita di andare in bianco, l'ho duro come una navel di due mesi dimenticata sopra un calorifero, il cervello, cazzo spremo), lo scrivere, dicevo, o dà gioia anche al minimo sindacale o se diventa uggia per non dire tormento, allora, beh, sai, questo è un luogo di sollazzo o dell'incazzo, se né l'uno o l'altro si dà, mi ficco nello spegnimento, shut down - e buonanotte.
Mi ero abituato male. Soprattutto perché parlavo come se avessi avuto davanti uno specchio dove vedevo riflesso oltre a me, dietro le mie spalle, gli occhi di chi s'affaccia qui per vedere cosa diamine ha scritto il Massaro, vedi mai qualcosa di piacevole.
La metabloggologia è una rottura di coglioni inenarrabile.
Ma che volete voi da me? Che canti? Magari. Vado avanti a scemenza.
La scrittura come deviazione, distrazione di massa (ro).
Poi ho messo in moto il Messo. Ed ora è in folle, al minimo. Inutile dar gas.
Non so fare politica, ma neanche so adeguarmi alla politica esistente.
Il tempo passa e più passa più mi sembra che la migliore attività consolatoria sia prendere una retina, non per catturare farfalle, ma attimi, come quello rappresentato dal tuo profilo (qui il tu è decisivo, montaliano, che depista). Adesso lo contemplo, con l'occhio della mente, come ad evocarlo, a ripeterlo, trattenerlo: vietato usare spilli. Gli attimi non sono catalogabili.
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