Capitò loro un giorno di incontrarsi, non per caso, ma perché proprio decisero di incontrarsi in una città di mezzo, si spartirono i chilometri per raggiungersi, per allontanare la medesima fatica di una vita costretta in uno spazio in cui si sentivano soffocare. E fu la stazione di quella città il punto in cui si alzò il sipario, entrarono in scena e seppero che era un bene aver deciso quell'incontro, indispensabile a scoprire se i personaggi che interpretavano sarebbero corrisposti al vero. Ne furono subito sicuri, invasi dal lucore reciproco delle quattro iridi; seguirono un breve scambio di timide battute pronunciate sottovoce, poi un silenzio necessario a sincronizzare i passi, un sorso d'acqua e una rinfrescata a una pubblica fontana e, infine, senza esitazioni, andarono incontro l'uno all'altra o l'una all'altro in quella camera d'albergo di una città di mezzo in cui manifestarono per intero quello che volevamo manifestare, loro stessi e nient'altro, ontologia pura che raccolsero in un unico volume, senza dilazionarlo in dispense allegate al quotidiano. E furono una donna e un uomo (o viceversa), che si fecero specchio e si videro così bene l'uno dentro l'altra (o viceversa) che il velo che separa l'essere umano da ciò che è davvero si disfece, perché in quelle ore riuscirono così bene a essere se stessi, a esprimersi, che ancora oggi ne portano addosso la definizione. Vedi alla voce: non importa dir di che.
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