Giovanni
era un bell'uomo, inconsapevole di esserlo, nel senso che non aveva
mai prestato troppa attenzione al proprio aspetto, tanto si guardava poco allo specchio, giusto il necessario per radersi o togliersi un punto nero che puntualmente emergeva dopo aver mangiato la maionese; egli, infatti, non dava peso agli
sguardi, né ricambiava eventuali apprezzamenti di colleghe o vecchie amiche che ogni tanto incontrava. Di solito, quando
una donna lo fissava, con una mano scendeva a controllare se aveva la
cerniera dei pantaloni aperta, oppure si passava un fazzoletto prima
sugli occhi e poi sul naso in cerca di eventuali escrezioni.
«Mi
sarò fatto male la barba?», si chiedeva se lo sguardo risultava più
insistente. E se lo specchio confermava l'impressione, si tagliava
gli ultimi peli rimasti sul collo, con le forbicine che aveva sempre
l'abitudine di portarsi dietro.
Essersi
messo nei panni del cugino avvocato, aver ricevuto, ascoltato e
infine aver suggerito una strategia al cliente che voleva separarsi
dalla moglie, lo portarono a voler essere un suo caro amico
d'infanzia, lui sì davvero bell'uomo che, fin da ragazzo, era sempre
stato fortunato con le donne. Alto almeno dieci centimetri più di
Giovanni, robusto e atletico, era maestro di tennis e di tango,
cosa questa che lo rendeva particolarmente seducente, come Vilas.
Giovanni
decise di esserlo e, in pochi giorni, giusto quelli necessari per
carpirne le abitudini quotidiane, fece conoscenza della moglie del
cliente, una donna che a tutta prima non lasciava aperta alcuna porta
sulla primavera, la vita tutta ancora rivolta in devozione
all'istituto del matrimonio. Giovanni, tuttavia, mise a frutto tutta
la sagacia del suo essere altro e riuscì, come primo passo, a
strapparle un caffè, nel bar adiacente al supermercato dove lei aveva
l'abitudine di fare la spesa un paio o tre volte alla settimana.
Nessun commento:
Posta un commento