«Gli svenimenti, comunque, sono diminuiti nell’ultimo anno: da 1.800 nel 2015 a 1.160 nel 2016. Lo ha assicurato Cheav Bunrith, direttore dell’ente di previdenza cambogiano» via
Gran parte dell'abbigliamento che compro e indosso è prodotto in Cina e in altre nazioni del Sud-Est asiatico. Devo dunque sentirmi, seppur in parte minima, responsabile delle condizioni di lavoro in cui sono costrette a lavorare le operaie e gli operai del settore tessile e calzaturierio di quegli stati?
No.
Non cominciamo con le colpe e con la coscienza creativa del consumo responsabile. Per un paio di Asics decenti ci vogliono almeno una settantina di euro (scontate), e che? devo spenderne settemila per non far svenire le addette alla produzione?
Sono dunque colpevoli Nike, Asics, Puma, VF Corporation, eccetera - nella fattispecie: il management che - in virtù della globalizzazione - ha dislocato la produzione in stati dove lo sfruttamento della forza lavoro è massimo e i diritti dei lavoratori al minimo?
Sì e no. Sì, nel senso che sono responsabili di adeguare la produttività dell'azienda agli standard previsti per essere competitivi sul mercato globale, pena il declino e, poi, il fallimento dell'azienda; no, perché questo adeguamento non lo fanno perché sono cattivi insensibili e inumani (anche se ci mettono del suo), ma perché, appunto, al sistema produttivo capitalistico fotte sega quali sono le condizioni di lavoro delle operaie e degli operai, l'importante è spremere per estrarre il succo, il pluslavoro, che è l'unica sostanza che aggiunge plusvalore al valore investito. Per non scimmiottare la questione, rimando a Olympe de Gouges, perché spiegare la faccenda meglio di così...
Sono per caso i governi di quelle nazioni a essere responsabili perché permettono alle multinazionali di imporre un regime produttivo ai limiti del servaggio?
Neanche. Nella competizione globale, alle nazioni con una struttura socio-economica arretrata e che non hanno ricchezze copiose nel sottosuolo, non resta che gareggiare con il capitale umano presente nel proprio territorio, per sfruttarlo in modo estensivo - e sottocosto.
E allora, anche questa volta, la colpa muore vergine?
No. Il problema è che il colpevole non è qualcuno, bensì qualcosa di impersonale: un sistema di riproduzione sociale che fa dell'uomo un mezzo e non il fine. È la logica del valore il vero responsabile della crisi che investe il consorzio umano.
Lascio la parola a Samuele Cerea che, nell'introduzione al libro di Robert Kurz, Il collasso della modernizzazione, Mimesis, scrive:
«Nella società moderna plasmata dal valore le relazioni umane su cui si fonda la riproduzione sociale devono prendere necessariamente la forma dello scambio di merci e della transazione monetaria e gli individui sono membri della società a pieno titolo solo in quanto venditori della loro forza-lavoro».
Ecco, care operaie cambogiane, piango con voi, ma sappiate che i vostri svenimenti - oltre a pagarvi un piatto di riso e poco più - sono una garanzia di identità.
Che fare?
Per il momento non mi sembra che ci sia qualcuno in esilio in Svizzera.
2 commenti:
solo un'osservazione: non credo, come da citazione, che "gli individui sono membri della società a pieno titolo solo in quanto venditori della loro forza-lavoro". Non lo sono affatto, sono solo degli schiavi che scambiano la propria capacità lavorativa per un salario atto a garantire, più o meno, la loro sussistenza e riproduzione. Se, viceversa, fossero membri della società a pieno titolo, avrebbero il diritto di non essere sfruttati a quel modo. Il mio diritto non può essere subordinato a quello di un padrone, il quale vanta il diritto liberale di succhiarmi il sangue.
ottimo per il resto
Vero. E grazie della precisazione.
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