D'altra parte è andata così: ho
scritto un libro, ho spedito il manoscritto a qualche editore e uno
grande ha deciso che poteva andare bene per la collana narratori
contemporanei; così l'editor gli ha
cambiato il titolo - ché il mio faceva era poco incisivo - e il
libro è stato pubblicato; poi, un po' grazie al passaparola e a qualche buona critica, esso ha incontrato i favori del grande pubblico e
ci sono state varie ristampe, vari riconoscimenti e premi
prestigiosi, la traduzione in più di trenta lingue, la
versione/riduzione cinematografica... E insomma, eccomi qui:
scrittore professionista a tempo quasi pieno. In fondo, era chiaro che, dopo un successo simile, un editore mi avrebbe messo sotto contratto volendo i diritti del mio prossimo romanzo; romanzo che è quasi pronto, giusto una ritoccatina da parte di consumati esperti
di lifting letterario e qualche anticipazione con letture pubbliche
a teatro per saggiare gli umori e le impressioni del pubblico. (A proposito, ma
chi diamine è che viene a teatro, magari pagando anche il biglietto, per ascoltarmi mentre leggo pagine di un libro che
ancora deve uscire?).
Il
nuovo libro, poi, appena sarà confezionato, sarà diffuso
capillarmente in ogni libreria e supermercato con reparto libri,
edicole e cartolerie, uffici postali e autogrill, di modo che le
masse, stimolate da una notevole campagna pubblicitaria, se ne procurino copie e copie per leggere e regalare.
Le
critiche letterarie, a questo punto, saranno del tutto superflue per sancire il successo che è prevedibile perché già programmato. Le critiche letterarie, anche le più
malevole, anche quelle che dimostreranno implacabilmente la peculiare
insussistenza del mio scrivere, non potranno far altro che essere
rivoli che andranno a ingrossare la piena di vendite prevista; anzi,
il povero critico che si permetterà di stroncare la mia seconda
prova sarà tacciato facilmente di usare la critica come arma per
mettersi in mostra, in quanto invidioso del mio successo,
della mia popolarità.
Che
vuoi fare, il gioco è questo e io ho avuto il merito e la fortuna di
giocare da protagonista in questo meccanismo su cui si regge
l'industria letteraria; e io sarò uno scrittore che andrà bene
finché sarò capace di essere unto
abbastanza da non incepparlo.
6 commenti:
Minchia, il protagonista dell'opera seconda si chiama Alessandro Egitto. Spero che non pubblichi con Cairo Editore.
Mi ci sono voluti 15 secondi, ma al sedicesimo ho riso come un faraone.
:-D
Un libro che comincia con un nome da principessina/crocerossina di Liala (Alice Della Rocca: ma si può essere più melensi) e che – soprattutto – finisce così: Sorrise verso il cielo terso. Con un po' di fatica, sapeva alzarsi da sola. Un libro così, dico. Non se ne sentiva certo la mancanza. Abbiamo già la Tamaro.
Sì, ne abbiamo tanti, e io non posso nemmeno giudicarli nel merito, dacché non li leggo, non c'è la fo, sono riottoso, e vado a naso e - di sicuro - sbaglio, per esempio anche con Piperno (è uscito il suo ultimo), mai letto, ma se mi pagassero (no, non solo il libro) potrei anche provare, il tempo è quello che è, e chi ama scrivere e leggere per essere (!), non ha voglia/tempo per mettersi a rosicare.
Si dovrebbe giusto parlare dei libri o autori che non leggiamo per partito preso, anche se poi siamo pronti a stroncarli a priori. A priori del tutto no, perché ci rifacciamo a recensioni, interviste o semplicemente sensazioni e istinti personali fondati, di cui ci fidiamo. In generale, diffido del best-seller e del Premio, dell'autore presenzialista e della copertina che invade le vetrine di tutte le librerie.
Posta un commento