«I suoi giovani invitati sono belli, escono dalle università di famiglia, dai loro club, intelligenti per censo (conoscono l'esatto valore della vita), ammorbiditi da un'esistenza di bagni, di aria aperta, di sport costosi, di vacanze inaccessibili. Non si può non ammirarli, come risultato genetico. Non hanno niente da dirmi, ma io non ho verso di loro nemmeno il disprezzo o l'odio di classe, che reputo inutile. In un senso strutturale sono il prodotto di una civiltà raffinata, affrancati dalla nostra morale. Nessuno di costoro vuol scrivere o dipingere: hanno chi lo fa per loro; ma se volessero, i loro libri avrebbero immediato successo mondano, i loro quadri anche. Ma non vogliono: considerano l'intelligenza una qualità inferiore, quando non è applicata freddamente al potere e alla vita». Ennio Flaiano, Il gioco e il massacro, Rizzoli, 1970, pag. 203
Adesso capisco perfettamente perché
non siamo capaci, noi intelligenti,
di fare o di provare a fare la
rivoluzione. Perché ci sentiamo superiori, strutturalmente
superiori, a certa gente. Non riusciamo a odiare, né a disprezzare
tali ospiti,
eternamente giovani, ricchi, belli, in piena salute e coloriti come
la sugna. Non siamo cattivi abbastanza. A noi, i lumi,
ci hanno reso teneri, ci fanno camminare sulla superficie delle cose
con l'essenziale o quasi, noi che non abbiamo licenze universitarie
di facoltà di prestigio; noi che consideriamo l'intelligenza una
qualità superiore,
non possiamo prendere le armi e dare di matto come Amleto, cercando
vendetta e giustizia, sconquassando le regole tenui che i nostri
padri ci hanno donato dopo aver fatto alla guerra. Siamo malati di
costituzione, noi
occidentali, liberali e pacifici dentro. Ci trovassimo davanti un
banchiere bancarottiere, piuttosto che mettergli due dita negli
occhi, gli offriremmo da bere. Perché siamo educati e moralmente
irreprensibili. Di noi, quando moriremo, tutto si potrà dire ma non
ch'è morta una testadicazzo, oppure un fottutissimo pezzo di merda
che ha affamato il mondo per pensare al suo cazzo di tornaconto. No,
di noi si ricorderà in particolare la nostra gentilezza, il nostro
savoir faire, il
nostro preferir prendere in giro se stessi che gli altri. Paste di
uomini e di donne che sanno, sotto sotto, di essere dalla parte
giusta e che temono più di essere colti in fallo che fallare.
Il
problema, però, è che una volta esercitato il nostro senso critico,
ci accorgiamo che la nostra superiorità è come una pistola caricata
a salve che non spaventa gli invitati al banchetto del
potere nemmeno quando esplode,
poiché essi sanno benissimo che le nostre parole non possono
ferirli.
Ed
essi continuano a godere alla facciaccia nostra, povero popolo che
per stare bene ha smesso di rodere, di rosicare,
di minare le fondamenta stesse del potere che si fondano sul rispetto. Ma rispetto per chi?
Ecco,
questo è quello che resta del mondo dopo che lor
signori hanno favorito: prendete e mangiatene tutti, restano briciole.
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