«
Immaginarono che ogni uomo è due
uomini e che il vero è l'altro, quello che sta in cielo.
Immaginarono anche che i nostri atti gettino un riflesso invertito,
di modo che se noi vegliamo, l'altro dorme, se noi fornichiamo,
l'altro è casto, se rubiamo, l'altro dà del suo. Morti, ci uniremo
a lui e saremo lui. »
Jorge
Luis Borges, “I teologi”, in
L'Aleph.
I miei due uomini stanno in
terra e, vivendo, uniti e separati, cercano di venire a patti con le
condizioni materiali in cui sono precipitati e, parimenti, con
l'indole sorniona di coloro che preferiscono la vita gli vada addosso
piuttosto che il contrario, come tuffatori al replay ritornano sul
trampolino. Non è un caso i miei uomini siano asciutti, tranne che
nelle mutande, dove spesso disperdono assai copiosa semenza.
Polluscono notturnamente sognando due donne con le quali venire a
patti: con una fornicare, con l'altra essere casti, in modo da non
confondere il culo con le quarant'ore. Essere due uomini a volte
disimpegna, non obbliga a recitare parti, consente di essere in ogni
circostanza quello che si vorrebbe essere, senza mezze misure,
inutili convenevoli, finzioni. Ogni uomo gestisce il proprio lato
oscuro, in una sorta di perdurante autoanalisi. Quello che conta è
che ognuno è indulgente con l'altro. E questo è indispensabile.
Perché perdonanarsi è il primo passo per ritrovare l'unità. Non in
edicola.
1 commento:
...beato te che sei solo due. qua è 'n'orda (direi "legione" ma noi non siamo gerarchizzati).
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