Giornata lunga. Tardino. Non mi sono messo in pari con letture e pensieri, ho da farmi pediluvio, filo interdentale, disciogliere la mente nel sonno, riposarmi: ce la farò a scrivere due o tre cose sensate a commento di un passo dell'editoriale di Gustavo Zagrebelsky pubblicato su Repubblica di oggi?
«A modellare una società in senso democratico, non basta però che i diritti siano riconosciuti. Occorre che siano esercitati. Che cosa contano, se non se ne fa uso? È forse libera una società in cui alla scienza, all’arte, all’insegnamento, alla stampa, ecc., è riconosciuto il diritto di essere liberi, se poi gli scienziati, gli artisti, gli insegnanti, i giornalisti rinunciano a farne uso? Lo stesso è per il diritto di voto. È forse democratica una società in cui tutti i cittadini hanno il diritto di votare, ma non ne fanno uso? È democratica una società in cui la maggioranza rinuncia ad esercitare il proprio diritto di voto? Non sono costretti a rinunciare da leggi antidemocratiche; lo fanno volontariamente. Ma è forse questo meno grave? Al contrario, è più grave, poiché la rinuncia volontaria all’esercizio del primo e basilare diritto democratico sta a significare che la frustrazione della democrazia è stata interiorizzata, è entrata nel midollo della società.»
No, non ce la faccio a stare sul pezzo.
Ascoltavo la Vita di Galileo di Brecht alla radio e a un certo punto ho sentito la voce di Strehler-Galileo dire che lui riusciva a fare scienza soltanto se aveva la pancia piena, se aveva ben mangiato e ben bevuto, altrimenti non riusciva a fare matematica, fisica, astronomia.
Fottuto materialista che sono, anche se mangio e bevo poco al confronto.
La finzione dello Stato borghese, dentro la quale siamo cresciuti ed educati, ha di fatto palesato la valenza «del primo e basilare diritto democratico». Rinunciare a votare sotto questo cielo è un atto altamente politico e finemente democratico. Non è frustrazione, anzi: è cercare di togliere, in maniera assolutamente pacifica, legittimità al potere. È liberarsi da un ricatto: quello dell'esercizio di un diritto-dovere posto a fondamento di un patto sociale che non sta più in piedi, che occorre rivedere, riformulare, ridiscutere, ri...
Avevo detto che avevo cose più urgenti da fare.
2 commenti:
il senso democratico di una società di classe è dato dalle condizioni in cui avviene lo scambio e dunque dalla posizione sociale di ognuno. mai esisterà un uguale diritto per servi e padroni se non come finzione giuridica. il ricatto del bisogno è la frusta democratica borghese. votare può servire ai moderni schiavi per coltivare l'illusione di poter migliorare la propria condizione, ma non a cambiarla. se non si è radicali su questa questione fondamentale da cui dipendono tutte le altre, che cosa significa allora essere radicali? domanda non retorica cui dovrebbe essere data risposta da Z. & co. sennonché le loro risposte, per collocazione sociale e per educazione ricevuta, le conosciamo fin troppo bene. possono arzigogolare all'infinito ma la questione resta.
Nello stivale che sta sotto questo cielo, caro Lucas, purtroppo non ci sta qualche decina di milioni di aventi diritto al voto fatti a tua immagine e somiglianza, e quindi spossati e lucidi superstiti da un lungo, consapevole e traumatico percorso. E quindi se mi permetti no, rinunciare a votare -salvo appunto per te e pochissimi altri- non è "un atto altamente politico e finemente democratico ... cercare di togliere, in maniera assolutamente pacifica, legittimità al potere ... liberarsi da un ricatto". E' qualunquismo incosciente e menefreghista di popolo bue, e umilmente chiedo scusa al bue.
En passant, detto da una che può permettersi il lusso di occuparsi anche del nulla, attualmente 'ad alta voce' viene letto Knut Hamsun tradotto da Ervinio (anzichè Ervino) Pocar (letto Pocàr ma qua diciamo Pòcar, e mi sa che abbiamo ragione noi), ggrrrhhhh!! Oltre a stare da 3 giorni nella sigla, Ervinio con la i Pocàr ieri l'ha detto pure la Lipperini... oggi je mando un sms, augh!
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