«Se
[…] ci rivolgiamo all'effige di Battista Sforza ci pare che
l'intuizione fondamentale di forma risieda nell'aver tratto, da quel
presentarsi di lato del viso, la possibilità di proporlo come una
sezione, come una “metà” vagamente emisferica, che, per naturale
esigenza simmetrica, viene a suggerire l'altra.
E
quando, di fatto, si venga a scoprire che la curva al sommo del capo
e le massime prominenze del così detto “profilo”, ora
combaciano, ora si dimostrano tangenti a un'inclusione circolare,
s'intenderà meglio come quel lento incurvarsi della tempia d'avorio,
della grave mandibola quasi equina, del nastro che va fasciando
l'alto del capo come una doga in un astrolabio, calamitandovi il
prezioso satellite di un enorme gioiello, e quei cautissimi accenni
di piani a segnare appena l'orbita e le nari, non diano che maggior
forza a quel suggerimento sferico. Il capo di Battista appare ora
veramente, come nel verso di Giovanni Santi, “… di tutte virtù
lucente sfera”; una gran fiala vitrea appannata, deposta sulla base
di nero, grigio ed oro del giubbetto, ornata nel collo come da un
fregio sottilmente policromo; e, per quanto è della sintesi
cromatica, soffiata all'improvviso sulle campiture del celo e della
terra.»
Roberto Longhi,
Piero della Francesca, (1927),
ed. Sansoni, Firenze 1963
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