venerdì 16 ottobre 2015

Rebus

« Perché, nonostante la tendenza storica all’oligarchia, i lavoratori sappiano sempre meno di esserlo, è forse possibile arguire da varie osservazioni. Mentre, oggettivamente, il rapporto dei proprietari e dei produttori all’apparato produttivo si consolida e diventa sempre più rigido, la soggettiva appartenenza di classe diventa sempre più fluttuante. Questo processo è favorito dall’evoluzione economica stessa. La composizione organica del capitale esige, come è stato spesso constatato, il controllo di dirigenti tecnici piuttosto che quello dei proprietari. Questi erano, per cosi dire, la controparte del lavoro vivo, mentre quelli corrispondono alla quota delle macchine nel capitale. Ma la quantificazione dei processi tecnici, la loro suddivisione in minuscole operazioni, largamente indipendenti dalla cultura e dall’esperienza, fa della competenza dei nuovi dirigenti - in larga misura - una pura illusione, dietro la quale si nasconde il privilegio dell’ammissione. Il fatto che lo sviluppo tecnico ha raggiunto una fase che consentirebbe letteralmente a tutti di esercitare tutte le funzioni, questo elemento potenzialmente socialista del progresso è sottoposto, nel tardo industrialismo, a un travestimento ideologico. L’accesso all’èlite sembra aperto ad ognuno. Si attende solo la cooptazione. La qualifica consiste nell’affinità, dall’adesione libidinosa al mestiere, attraverso un sano spirito tecnocratico, fino ad un’allegra Realpolitik. Esperti, si, ma esperti solo del controllo. Il fatto che tutti potrebbero diventarlo, non ha condotto alla loro fine, ma alla possibilità - per ognuno - di essere chiamato. Viene preferito chi si adatta meglio. Certo, gli eletti restano un’infima minoranza, ma la possibilità strutturale basta a mantenere con successo l’apparenza di una chance uguale nel sistema che ha eliminato la libera concorrenza, che viveva proprio di quell’apparenza. Il fatto che le forze tecniche consentirebbero lo stato senza privilegi, è considerato tendenzialmente da tutti, anche da quelli che sono in ombra, come un argomento a favore dei rapporti sociali che ne impediscono l’avvento. In generale, la soggettiva appartenenza di classe dimostra oggi una mobilità che fa dimenticare la rigidezza dell’ordine economico: ciò che è rigido è sempre, nello stesso tempo, ciò che si può spostare. Anche l’impotenza del singolo a prevedere il proprio destino economico contribuisce a questa consolante mobilità. Della caduta non decide l’inabilità, ma una struttura gerarchica impenetrabile, in cui nessuno, forse neppure le somme sommità, può sentirsi sicuro: uguaglianza sotto la minaccia. Quando, nel film di successo dell’anno, l’eroico capitano-pilota torna per farsi tormentare come drugstore jerk da caricature di piccoli borghesi, non soddisfa soltanto l’inconsapevole malignità degli spettatori, ma li conferma nella coscienza che tutti gli uomini sono veramente fratelli. L’estrema ingiustizia diventa la falsa immagine della giustizia: la degradazione degli uomini il simbolo della loro uguaglianza. Ma i sociologi si trovano di fronte alla questione ferocemente comica: dov’è il proletariato? »

T.W. Adorno, Minima moralia, (124.), Einaudi editore, Torino 1954

Il brano sopra riportato è posto in diretta continuazio [continuazione]

Update, sabato 17 ottobre
Ieri sera ho lasciato a metà la frase suddetta: chiedo venia. Sono crollato dal sonno. L'artigianato bloggheristico non prevede caporali che ti alzino a forza le palpebre. Insomma: il brano di Adorno - come ha ben commentato sotto Lo Zittito - «parla di noi». I lavoratori - per esteso: i proletari - sanno sempre meno di esserlo. Quello che, secondo il curatore o il traduttore einaudiano dell'opera adorniana annotava alla parola “proletariato” - «È chiaro che l'Autore pensa soprattutto alla società americana» - vale per società globale tout court.
In seguito, se avrò voglia, in un post successivo cercherò di commentare il brano frase per frase.

3 commenti:

lozittito ha detto...

Importante brano che parla di noi, "le creature del Capitale": esseri raziocinanti che hanno assolutamente bisogno di dare senso alla propria oscura, oscuramente sentita, condizione e la legittimano sempre e a tutti i costi a partire dalla sua nascosta premessa: l'individuo sociale è solo un involucro che cela al proprio interno una oggettività sociale che gli è ostile in radice.

mannaggia a te! intendevo usare questo stesso brano per continuare la mia inchiesta sulla coscienza di classe

Luca Massaro ha detto...

Grazie del tuo prezioso commento.
Riguardo allo scritto adorniano: beh, "copia e incolla" :-D

lozittito ha detto...

sorrisetti.. ;-)