Ora
che la poesia è tornata di moda
per
me, che poeta sono sempre stato,
che
ho sempre avuto del poeta
le
physique du rôle, non
può
che essere una buona notizia
in
quanto – lo si nota anche
da
questi incerti versi messi a caso
tenuti
insieme non certo da una metrica,
forse
solo da una specie di
balbettio
interiore – ho la penna
sempre
pronta per buttarmi nell'arena –
molto
più che la fava, la quale
una
volta era più pronta, più sensibile,
bastava
un niente per emozionarla,
un
refolo di vento che smuoveva
i
capelli di lei che volentieri
me
la prendeva in mano con costanza
o
anche il culo di certe signore bene
in
carne a cui cadeva uno spicciolo
dal
portamonete alla cassa di una coop
dov'io
facevo il cassiere con la laurea
e
il capitalista di paese si meravigliava
che
lavorassi alla cassa, scuoteva la testa
con
un sorrisetto di disprezzo e io gli dissi
“porcamadonna
invece che al tuo cazzo
di
nipote dalli a me cinque miliardi”
e
lui non rispose, lo sventurato,
e
ora invece ha una certa resistenza,
(parlo
sempre della fava), ho fatto il tantra
non
mi ricordo più con chi,
certo
nei sogni e bisogni in cui il mio
seme
poetico fuoriusciva che era
un
piacere – e nell'arena io di me
donavo
parole, pause, figure della
mente
insomma, solitamente
così
come l'urgenza espressiva
impone.
So che la poesia annoia
tipo
questa, anche se condita di turpi-
loquio.
Ma la poesia è di moda
perché
centra il bersaglio dell'essere,
lo
disvela, riesce, tra le sue sillabe,
a
dire questo è quello che ho
sempre
desiderato: sesso tenero
e
avvolgente – e ora che l'ho detto
scomunicatemi,
sparatemi un Bengala
notturno,
«come in una festa».
La
mia è questa, non dissimile
a mettere i polpastrelli sul bianco
latte della tua pelle di novembre,
spogliata di sole ma non per questo
meno calda.
3 commenti:
Fantastico! Cos'hai bevuto, stasera?
Prosit! :)
N.
Bella! Peccato (o per fortuna) che il seme di noi poeti sia sterile.
Hai notato anche tu, Marco, che tra i poeti non vige il nepotismo?
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