A Malvino: ragionamenti obliqui in margine a questo suo post.
La politica, arte
di governare la polis (città, stato), è una tecnica al servizio
degli interessi di classe e non del singolo cittadino (essere umano
che abita la polis). La cellula cittadino che, insieme ad altre
cellule cittadino, compone il corpo dello Stato, non conta un cazzo,
perché lo Stato non è al servizio della cellula, ma degli organi di
potere che lo guidano (e gestiscono) per conto della classe
dominante.
Ogni tot anni,
nelle moderne democrazie rappresentative, vi sono delle elezioni per
votare coloro che dovranno rappresentare i cittadini nelle assemblee
legislative e, in qualche caso, anche nelle sedi esecutive (in
Italia, ricordiamolo, si votano soltanto coloro che rappresenteranno
i cittadini in Parlamento, sede del potere legislativo).
Ora, appare
evidente come sia questo stesso meccanismo, ch'è il fondamento di
ogni repubblica democratica, a determinare lo iato tra rappresentante
e rappresentato, tra
l'eletto
e l'elettore. Esercitare il
proprio diritto-dovere di voto non è un esercizio di sovranità, ma
una finzione di sovranità,
indipendentemente dal fatto che l'eletto sia un irreprensibile
servitore dello Stato (e quindi della cittadinanza) o, invece,
sia un prezzolato esecutore degli ordini del miglior offerente.
In buona sostanza:
il rappresentante del
popolo, sia che legiferi per
sé e per il suo clan, sia che faccia del suo meglio per servire gli
interessi dei cittadini, non
incide mai sulla sostanziale
determinazione della
disuguaglianza di classe.
I
reali rapporti tra chi ha i mezzi di produzione (il capitalista) e
chi, invece, non ha altro che la propria forza lavoro, rimangono
invariati.
Affermare
con forza che tutti siamo uguali davanti alla legge, che tutti
abbiamo pari diritti e dignità, che tutti siamo uguali è uno
splendido bluff che i veri principi buffoni mettono a nudo, vedi l'azione
governativa e legiferante dei berlusconiani, i quali sostenevano che
le leggi ad personam valevano sì per il loro presidente, ma
altresì per tutti i cittadini.
Finché
c'erano avanzi alla tavola imbandita del capitale (avanzi spremuti a
forza indebitando lo Stato, e quindi tutti i cittadini che ora sono
chiamati in causa a fare i responsabili per sanare la crisi
impellente del debito pubblico) il giochino democratico, in Italia
soprattutto, sembrava mantenere le promesse scritte nella
Costituzione.
Adesso
che la crisi impone sacrifici e ristrettezze, il sistema sembra
bloccato, la democrazia subisce un arretramento e votare si mostra
per quello che è: inutile farsa.
Nel
quarto capitolo delle “Note in margine al programma del Partitooperaio tedesco”, contenute nella Critica del Programma di
Gotha, di Karl Marx, si trovano spunti interessanti, a mio avviso
da riprendere e rimodellare, superando, naturalmente, l'idea sbagliata
di dittatura del proletariato.
«Non
è punto scopo degli operai, che si sono liberati dal gretto spirito
di sudditanza, di rendere libero lo Stato. [...] La libertà,
consiste nel mutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in
organo assolutamente subordinato ad essa, e anche oggigiorno le forme
dello Stato sono più libere o meno libere nella misura in cui
limitano la "libertà dello Stato." […]
La
"società odierna" è la società capitalistica, che esiste
in tutti i paesi civili, più o meno libera di appendici medioevali,
più o meno modificata dallo speciale svolgimento storico di ogni
paese, più o meno evoluta. Lo "Stato odierno," invece,
muta con il confine di ogni paese [...] "Lo Stato odierno"
è dunque una finzione.
Tuttavia
i diversi Stati dei diversi paesi civili, malgrado le loro variopinte
differenze di forma, hanno tutti in comune il fatto che stanno sul
terreno della moderna società borghese, che è soltanto più o meno
evoluta dal punto di vista capitalistico. Essi hanno perciò in
comune anche alcuni caratteri essenziali. In questo senso si può
parlare di uno "Stato odierno," in contrapposto al futuro,
in cui la presente radice dello Stato, la società borghese, sarà
perita.
Si
domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società
comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi
ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A
questa questione si può rispondere solo scientificamente, e
componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non
ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.
Tra
la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo
della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso
corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui Stato non
può essere altro che la
dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Ma
il programma non si occupa né di quest'ultima né del futuro Stato
della società comunista.
Le
sue rivendicazioni politiche non contengono nulla oltre all'antica
ben nota litania democratica: suffragio universale, legislazione
diretta, diritto del popolo, armamento del popolo, ecc. Esse sono una
pura eco del partito popolare borghese, della Lega per la pace e la
libertà. Esse sono tutte rivendicazioni che, nella misura in cui non
sono esagerate da una rappresentazione fantastica, sono già
realizzate.
[...]
Si
è però dimenticata una cosa. Poiché
il Partito operaio tedesco dichiara espressamente di muoversi entro
"l'odierno Stato nazionale" e quindi entro il suo Stato,
entro il Reich tedesco-prussiano – altrimenti le sue rivendicazioni
sarebbero in massima parte prive di senso, perché si rivendica solo
ciò che non si ha –
esso non dovrebbe dimenticare la cosa principale, e cioè che tutte
quelle belle cosette poggiano sul riconoscimento della cosiddetta
sovranità del popolo e perciò sono a posto solo in una repubblica
democratica.
Poiché
non si ha il coraggio - e saviamente, giacché
le circostanze impongono prudenza – di chiedere la repubblica
democratica, come fecero i programmi operai francesi sotto Luigi
Filippo e sotto Luigi Napoleone, non si sarebbe dovuto ricorrere alla
finta, che non è né "onesta" né "dignitosa,"
di richiedere cose, che hanno senso solo in una repubblica
democratica, ad uno Stato che non è altro se non un dispotismo
militare, mascherato di forme parlamentari, mescolato con appendici
feudali, influenzato già dalla borghesia, tenuto assieme da una
burocrazia, difeso con metodi polizieschi; e per giunta assicurare
solennemente a questo Stato che ci si immagina di strappargli
qualcosa di simile con "mezzi legali."
La
stessa democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il
regno millenario e non si immagina nemmeno che appunto in questa
ultima forma statale della società borghese si deve decidere
definitivamente con le armi la lotta di classe - la stessa democrazia
volgare sta ancora infinitamente al di sopra di questa specie di
democratismo entro i confini di ciò che è permesso dalla polizia e
non è permesso dalla logica.»
Ripeto ancora: in
questi passi si possono trovare spunti politici per capire la
situazione d'impasse in cui versano le democrazie occidentali.
Quali saranno le (inevitabili) mutazioni che tale regime subirà nel
corso degli anni? Qui mi sembra che tutto sia bloccato, anzi: che si
vada incontro a un'involuzione democratica.
Mah,
ragionamenti, da riprendere e sviluppare. Non ora, è tardi, sempre
più tardi.
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