domenica 5 aprile 2015

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Oggi ho conosciuto un signore ridente, dalla bocca larga e l'orecchio da elefante, la mascella forte e il cranio a punta, il quale, con occhi che brillavano, mi ha detto che tra tre giorni compirà novantatré anni, dei quali sessantadue trascorsi in manicomio, ad Arezzo.
Cazzo. Sessantadue anni di manicomio, e perché?
Siccome tardava la risposta, una signora seduta a noi di fronte mi ha detto per via di un esaurimento nervoso, quando aveva quindici anni, una volta i genitori li curavano così i disturbi mentali, sia pure passeggeri.
Sessantadue anni. 
«E cosa ha fatto tutti quegli anni là dentro?»
«Ci facevano fare tanti lavoretti, una volta ho fatto persino l'imbianchino. Ma io ci stavo bene - e dicendo questo l'ho visto come ripercorrere tutto quel tempo con l'occhio della mente - perché c'era disciplina, ognuno di noi faceva qualcosa, le donne per esempio cucivano vestiti, mica stavano con le mani in mano come qui».
Quest'ultima cosa ho notato che l'ha detta con una punta di biasimo nei confronti della signora che prima ha risposto per lui.
Poi sono arrivate due assistenti sanitarie, che prendevano servizio in quel momento. 
Il signore le ha chiamate e, sorridendo, ha loro detto che al piano di sopra c'erano delle paste, che le aveva prese lui stamani per fare gli auguri di Pasqua. Loro gli hanno dato un bacio e poi, quando sono andate via, mi ha spiegato che ha fatto questo omaggio per riconoscenza, in fondo gli fanno il bidet tutti i giorni, lo tengono pulito e gli lavano i vestiti.

Sto pensando cosa potergli regalare, tra tre giorni.

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