«So bene che è difficile, ma la comprensione e la rappresentazione del particolare è anche la vita propria dell'arte. E poi: finché ci si ferma all'universale ognuno ci può imitare; ma nessuno può imitarci il particolare. Perché? Perché gli altri non lo hanno vissuto. Non c'è neppure da temere che il particolare non trovi eco. Ogni carattere, per quanto tipico possa essere, ogni oggetto da rappresentare dalla pietra sino all'uomo possiede universalità; poiché tutto si ripete e non vi è cosa al mondo che sia esistita soltanto una volta.»
Goethe a Zelter, 30 ottobre 1808, tratto da “Il problema estetico del particolare nell'illuminismo e in Goethe”, G. Lukács, Prolegomeni a un'estetica marxista, Editori Riuniti, Roma 1957, traduzione di Fausto Codino e Mazzino Montinari.
Attaccarsi al particolare, insomma, è un po' come attaccarsi al cazzo: ognuno s'attacca al proprio, perlomeno credo, ché difficile in queste stagioni attaccarsi a quello degli altri [*]
Di tale similitudine sono debitore a un breve dialogo rubato tra una cuoca e un ospite anziano di una residenza sanitaria, con la cuoca che chiedeva come andassero le giornate e l'ospite che rispondeva lamentandosi che gli faceva male qui, che gli prudeva là, soprattutto i coglioni, la base dell'attaccamento al particolare, appunto.
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[*] A meno che la tua particolarità non trovi eco in certe orecchie mercanti, da mezzano, tipo quelle che avevano per esempio un Tarantini o un Lele Mora (esempi triti, d'accordo, ma sono i primi che mi sono venuti, anche per evidenziare che il particolare in oggetto è unisex).
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