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La
parte in causa, essere. Perché la virgola? A sospendere la causa,
l'essere. Vivere in mezzo a: figli che crescono, genitori che
invecchiano, mariti e mogli che (verbo a scelta), eccetera. Ecco l'essere,
ecco la causa. Se si potesse togliere la ‘u’ a causa resterebbe
casa. E la ‘u’ te la cacci in? Supponiamolo.
Mi
ricordo quella volta che presi la parola in un consesso pubblico per
dire chissà cosa relativamente a che e come il dirigente, quando
usai il participio passato di supporre
concordandolo a un sostantivo femminile, volle fare la battuta per
far sorridere la platea. Finito il sorriso ebete del pubblico,
ripresi la parola aprendo una parentesi («personalmente, preferisco
l'enteroclisma di malva e camomilla tiepida») e chiudendola in
faccia a quelle facce troppo impressionabili dagli
umori della dirigenza.
Parlare
a braccio è difficile per
chi non ha una causa fissa, è
un senza dimora della cause praticamente.
Mi spiego: se lotti per una causa, te possino cecà,
parli come un invasato o un miracolato, perché ricordate cosa disse
Gesù Cristo? Nun stateve a preoccupà di quello che
dovrete di'. Ce penzerà lo spirito santo a parlà pe'
voi: 'mbriacatevi de fede e l'uditorio ve farà 'na pippa.
Il
fatto è che anche quando mi sembra di aver ragione, non riesco a
essere assertivo, apodittico, saldo nei miei convincimenti.
Siffattamente (grazie Cetto)
ogni causa è persa. Meno male c'è la ‘u’, ché fuori stasera
tira vento freddo.
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