In questi giorni - per ragioni che ora non sto a dire, è più garbato lasciare un alone di polvere, la polvere degli angoli di vita riposta - ho avuto contatti ravvicinati con la miseria della vita, niente di eccessivo, non tipo quella i bombardati di Aleppo (colpissero mai una fabbrica di sapone, sì che le bolle profumate di lauro producessero l'effetto dell'erba spinella), ma di quella che accade nelle nostre contrade, nei luoghi di ricovero e nascondimento, là dove si tiene "dentro" ciò ch'è "fuori" di norma, di corpo e di testa.
Quando capitano questi imbattimenti, mi prende una specie di uggia allo stomaco che non è fame e non è desiderio, né voglia di andare di corpo. È rabbia? È impotenza? È lo specchio, specchio delle mie brame, chi cazzo la fa la vita più di merda del reame?
Non io, non io che, stamani, uscito di palestra bel bello, docciato e sbarbato, fresco e pimpante, che se mi avessero visto Brunetto Latini o la brunetta dei Ricchi e Poveri mi avrebbero senz'altro detto oh che dolce fico, io che, dicevo, stamani sono stato spettatore di quanto segue.
C'è una signora
anziana ma non troppo, forse meno di ottant'anni, cammina curva,
quasi ad angolo retto, sostenendosi con una sorta di passeggino avente un portapacchi dove tiene la borsa e un settimanale. Cammina
chiamando in continuazione “Signora, signora, signora, signora”,
insistendo molto sulla prima sillaba, tanto da sembrare che dica un
verbo riflessivo. Il personale sanitario non le presta alcuna
udienza, a parte qualche mezzo sorriso o mezza parola di
acquietamento.
La signora fuma e per questo si reca in una veranda riscaldata dal sole e si siede proprio vicino a un grande portacenere dal quale sale il fumo nauseante di cicche spente male. La signora non ha denti e neanche la dentiera e forse per questo, appena dà una tirata, muove la bocca come se il fumo lo masticasse (finalmente qualcosa che si rode bene). Da notare inoltre, appena sopra il marrone del filtro, una lieve traccia di rossetto che macchia la cartina. La signora è sola e si gode la sigaretta in pace. Arriva un signore anziano, forse coetaneo, maglia e pantaloni neri, potrebbe sembrare un prete, lo è (questo lo vengo a sapere dopo). Il signore ordina risoluto alla signora di rientrare in sala, ma lei si rifiuta dicendogli che deve finire la sigaretta. Allora il signore si china arrabbiato sulla signora e cerca di tirarla su dalla poltrona con forza, ma la signora resiste e lo respinge. Il signore alza le mani come se volesse picchiarla, e la signora si copre con le braccia il volto. Il signore, che forse voleva darle uno schiaffo, rinuncia a colpirla ma con prepotenza riesce a sollevarle le braccia, si piega e le sputa, le sputa due volte in faccia, quindi la lascia e rientra in sala. La signora a stento si alza e, senza l'aiuto del suo passeggino, cerca di inseguirlo, ma la porta che separa la veranda dalla sala si apre soltanto dall'interno di quest'ultima. La signora allora si avvicina a un vaso di edera non troppo pesante, lo solleva e vorrebbe scagliarlo contro la porta.
«Ferma signora», le dico, e mi guarda e mi dice che la porta non si apre è chiusa e lei vorrebbe aprire quella porta. «Non si preoccupi, adesso chiamiamo qualcuno». Così è. E vengo a sapere dal personale del prete e della signora e di questa prassi che si ripete da anni.
La signora fuma e per questo si reca in una veranda riscaldata dal sole e si siede proprio vicino a un grande portacenere dal quale sale il fumo nauseante di cicche spente male. La signora non ha denti e neanche la dentiera e forse per questo, appena dà una tirata, muove la bocca come se il fumo lo masticasse (finalmente qualcosa che si rode bene). Da notare inoltre, appena sopra il marrone del filtro, una lieve traccia di rossetto che macchia la cartina. La signora è sola e si gode la sigaretta in pace. Arriva un signore anziano, forse coetaneo, maglia e pantaloni neri, potrebbe sembrare un prete, lo è (questo lo vengo a sapere dopo). Il signore ordina risoluto alla signora di rientrare in sala, ma lei si rifiuta dicendogli che deve finire la sigaretta. Allora il signore si china arrabbiato sulla signora e cerca di tirarla su dalla poltrona con forza, ma la signora resiste e lo respinge. Il signore alza le mani come se volesse picchiarla, e la signora si copre con le braccia il volto. Il signore, che forse voleva darle uno schiaffo, rinuncia a colpirla ma con prepotenza riesce a sollevarle le braccia, si piega e le sputa, le sputa due volte in faccia, quindi la lascia e rientra in sala. La signora a stento si alza e, senza l'aiuto del suo passeggino, cerca di inseguirlo, ma la porta che separa la veranda dalla sala si apre soltanto dall'interno di quest'ultima. La signora allora si avvicina a un vaso di edera non troppo pesante, lo solleva e vorrebbe scagliarlo contro la porta.
«Ferma signora», le dico, e mi guarda e mi dice che la porta non si apre è chiusa e lei vorrebbe aprire quella porta. «Non si preoccupi, adesso chiamiamo qualcuno». Così è. E vengo a sapere dal personale del prete e della signora e di questa prassi che si ripete da anni.
È vita anche questa, senza punto interrogativo, vita e basta, tutto quell'insieme di funzioni che si oppongono alla morte [*]. Solo alla fine perdono, le funzioni.
[*]«La vie est l'ensemble des fonctions qui résistent à la mort», Xavier Bichat, Recherches physiologiques sur la vie et la mort, 1800.
1 commento:
Ciùmbia... autrement dit: minchia, ma va bene anche merda! e chiedo scusa per il francesismo.
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