«Da
qui al 2018 Fca garantirà in Italia
15
miliardi di investimenti, un’occupazione per tutti i dipendenti del
gruppo e soprattutto più di 600 milioni in premi aziendali. Questi
ultimi arriveranno ai dipendenti italiani grazie a «un nuovo sistema
retributivo» che è «un significativo passo in avanti nel
coinvolgimento delle persone per raggiungere i risultati previsti dal
piano industriale», come ha spiegato ieri Sergio Marchionne ai
sindacati.»
Ci si dimentica troppo spesso, in Italia e altrove, che i lavoratori, tutti i lavoratori, compresi i lavoratori dipendenti della FCA, lavorano perché sono costretti a vendere la loro forza lavoro per - in estrema sintesi - vivere. Se per vivere potessero fare a meno di vendere la loro forza lavoro e potessero, viceversa, dispiegare il lavoro secondo le loro reali inclinazioni, al coinvolgimento che richiede Marchionne replicherebbero con un coinvolgiteloinculo.
«L’amministratore
delegato di Fca [...] ha sfoderato una «nuova politica
retributiva».
È un sistema formato da due elementi che si aggiungono al salario
base. Uno è legato all’efficienza dei singoli stabilimenti: se
centreranno le performance, le tute blu avranno in busta paga un
incremento medio del 5%. Se invece faranno ancora meglio delle
aspettative il salario lieviterà del 7,2%. L’altra
parte variabile è collegata ai risultati economici di Fca in Europa
e
Medioriente: se tutto andrà come ha previsto Marchionne nel piano
industriale 2015-2018, gli stipendi
lieviteranno
del 12% sull’intero quadriennio, mentre saliranno del 20% in caso
di “over performance”. Nel caso in cui la missione fallisse, ci
sarebbe comunque un’erogazione minima di 330 euro l’anno. Tradotto
in denaro, se tutto filasse liscio nei quattro anni l’addetto
specializzato riceverà un premio complessivo che oscillerà tra i
7.000 euro (6.500 per l’operaio generico) e i 10.700 euro. Così,
dice Marchionne, «se gli obiettivi saranno quelli attesi, e sono
sicuro che lo saranno, tutti i nostri lavoratori in Italia
avranno
vantaggi economici di assoluto rilievo che derivano direttamente dal
loro lavoro». Anche
perché, sottolinea l’ad, «il miglioramento dell’efficienza e il
raggiungimento degli obiettivi finanziari dipendono da loro».»
Dopo anni di sacrifici dei lavoratori (chiusure di stabilimenti, ristrutturazioni, licenziamenti, casse integrazioni: effetti collaterali del crollo delle vendite della merce prodotta dal Gruppo Fiat), a fronte di una “ripresa” di quote di mercato, il top(o) dirigente Marchionne sfodera «una nuova politica retributiva» che prevede quanto sopra riportato.
Ora, io spero vivamente che i lavoratori italiani «avranno vantaggi economici di assoluto rilievo»; tuttavia, anziché intonare lodi sperticate nei confronti di questa dubbia prospettiva, sì come fanno i notisti economici italici, mi sembra più opportuno bisbigliare i seguenti interrogativi:
- Che cosa determina l'efficienza dei singoli stabilimenti? I famosi turni di x ore senza pausa alcuna, ore straordinarie quasi obbligatorie, sabato e domenica compresi, le ferie quando cazzo vuole il padrun, penalizzazioni per eventuali giorni di mutua usufruiti durante l'anno solare?
- Cazzo c'entrano i lavoratori se i risultati economici di Fca in Europa e Medioriente saranno al di sotto delle attese? Ovvero,
- In altri termini - e questo vale non solo per i lavoratori della Fca, bensì vale per tutta quella parte di umanità costretta a vendere la propria forza lavoro per campare - per quanto ancora il vivere tout court dev'essere in balia del subdolo meccanismo della domanda e dell'offerta, ossia vincolato alla valorizzazione del capitale posseduto da una relativamente piccola nicchia di pezzi di merda?
Poste queste domande, lascio volentieri spazio una paginetta de Il Capitale, Libro I, Cap. 3, Paragrafo 2, a) “La metamorfosi delle merci”, con la pleonastica avvertenza di sostituire l'esempio del tessitore con quello del produttore di autoveicoli.
«M-D. Prima
metamorfosi della merce, ossia vendita. Il salto
del valore della merce dal corpo della merce nel
corpo dell'oro è il "salto mortale" della merce, come l'ho
definito in altro luogo. Certo, se non riesce, non è alla merce che
va male, ma al possessore della merce. La divisione sociale del
lavoro rende il suo lavoro tanto unilaterale quanto ha reso
molteplici i suoi bisogni. E proprio per questo il suo prodotto gli
serve solo come valore di scambio. Ma esso riceve
solo nel denaro la forma generale di equivalente socialmente valida;
e il denaro si trova nelle tasche altrui. Per tirarlo fuori di lì,
la merce deve essere anzitutto valore d’uso, per il
possessore di denaro, e quindi il lavoro speso in essa dev'essere
speso in forma socialmente utile, cioè far buona prova come
articolazione della divisione sociale del lavoro. Ma
la divisione del lavoro è un organismo spontaneo di
produzione, le cui fila si sono tessute e continuano a
tessersi alle spalle dei produttori di merci. Può darsi che la merce
sia prodotto di un nuovo modo di lavoro che pretenda di soddisfare un
bisogno sopravvenuto di recente, o che debba provocare per la prima
volta, di sua iniziativa, un bisogno. Un particolare atto lavorativo
che ancor ieri era una funzione fra le molte funzioni di un medesimo
produttore di merci, oggi forse si strappa via da questo nesso, si fa
indipendente, e proprio per questo manda al mercato il proprio
prodotto parziale come merce autonoma. Le circostanze
possono essere mature o immature per tale processo di scissione. Il
prodotto soddisfa oggi un bisogno sociale. Domani forse sarà
cacciato dal suo posto, del tutto o parzialmente, da una specie
simile di prodotto. Anche se il lavoro, come quello del nostro
tessitore di lino, è membro patentato della divisione sociale del
lavoro, con ciò non è ancora garantito affatto il valore d’uso
proprio dei suoi venti metri di tela. Se il bisogno
sociale di tela, che ha la sua misura come tutto il resto, è
soddisfatto già da tessitori rivali, il prodotto del nostro amico
diventa sovrabbondante, superfluo e con ciò inutile. A caval donato
non si guarda in bocca, ma il tessitore non si reca al mercato per
fare regali. Ma poniamo che il valore d’uso del suo prodotto faccia
buona prova, e che quindi dalla merce si tragga denaro. Ora si
domanda: quanto denaro? Certo, la risposta è anticipata nel prezzo
della merce, esponente della sua grandezza di valore. Prescindiamo da
eventuali errori soggettivi di calcolo del possessore di merce, che
vengono subito corretti oggettivamente sul mercato; ed abbia il
possessore di merce speso nel suo prodotto soltanto la media
socialmente necessaria di tempo di lavoro. Quindi il prezzo della
merce è soltanto nome di denaro della quantità di lavoro sociale
oggettivata in essa. Ma le nostre antiche e patentate condizioni di
produzione della tessitura sono entrate in fermento, senza permesso e
all'insaputa del nostro tessitore. Quel che ieri era, senza
possibilità di dubbio, tempo di lavoro socialmente necessario alla
produzione d'un metro di tela, oggi ha cessato di esser tale, come il
possessore di denaro dimostra zelantemente con le quotazioni dei
prezzi di vari rivali del nostro amico. Per sua disgrazia ci sono
molti tessitori al mondo. Poniamo infine che ogni pezza di tela
disponibile sul mercato contenga soltanto tempo di lavoro socialmente
necessario. Tuttavia, la somma complessiva di queste pezze può
contenere tempo di lavoro speso in modo superfluo. Se lo stomaco del
mercato non è in grado di assorbire la quantità complessiva di tela
al prezzo normale di 2 € al metro, ciò prova che è stata spesa in
forma di tessitura una parte troppo grande del tempo complessivo
sociale di lavoro. L'effetto è lo stesso che se ogni singolo
tessitore avesse impiegato nel suo prodotto individuale più del
tempo di lavoro socialmente necessario. Qui vale il detto: "Presi
insieme, insieme impiccati". Tutta la tela sul mercato vale
soltanto come un solo articolo di commercio, ogni
pezza vale soltanto come parte aliquota di esso. E di fatto il valore
di ogni metro di tela individuale è insomma soltanto la
materializzazione della stessa quantità socialmente determinata di
lavoro umano dello stesso genere.
Ecco:
la merce ama il denaro, ma the course of true love never does
run smooth (Le vie del vero amor non son mai piane).
Altrettanto casuale e spontanea della articolazione qualitativa, è
l'articolazione quantitativa dell'organismo sociale
di produzione, il quale rappresenta le sue membra disjecta nel
sistema della divisione del lavoro. I nostri possessori di merci
scoprono quindi che quella stessa divisione del lavoro che li aveva
resi produttori privati indipendenti,
rende poi indipendente anche proprio da loro il
processo sociale di produzione e i loro rapporti entro questo
processo, e che l'indipendenza delle persone l'una dall'altra
s'integra in un sistema di dipendenza onnilaterale e imposta dalle
cose.
La
divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e così
rende necessaria la trasformazione di esso in denaro: e allo stesso
tempo rende casuale che tale transustanziazione riesca o meno.»
Ecco, per concludere, penso sia legittimo affermare che la nuova politica retributiva di Marchionne nasconde il solito andante automotive: come mai, come mai sempre in culo agli operai?
5 commenti:
urca, ma è un brano molto più lungo di un tweet. vuoi costringere la forza-lavoro disoccupata a leggere? sfruttatore!
Mi pento e mi dolgo con tutto il core.
Molto meglio lo stato che retribuisce non richiedendo, anzi disincentivando ogni forma di produttività, tranne la fedeltà al seggio.
L'hai detto tu, non io. Io posso solo auspicare che gli Stati - o meglio: i popoli che li compongono, possano, prima che sia troppo tardi, organizzare il sistema economico e produttivo in altro modo prima di ritrovarsi, nuovamente, faccia alla catastrofe.
Sì, certo, l'ho detto io.
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