Appoggiato allo schienale di una panchina di legno e metallo di un parco cittadino, osservava ammirato l'esplosione cromatica del prato primaverile e, con una mano in tasca, considerava la propria semenza, inesplosa.
Passò una donna, borsa a tracolla con la fascia che incrociava in mezzo ai seni che sembravano due grandi ravioli. Gli venne fame, ma aveva in tasca soltanto una decina di arachidi israeliane da sgusciare. Lo fece, e mangiò anche la loro buccia velata in onore del resveratrolo. Ebbe sete, ma l'unica fontanella era quella a pagamento (pochi centesimi al litro) della società ancora pubblica delle acque. Chi tiene arachidi nelle tasche non può avere allo stesso tempo spicci, è una regola. La sete aumentò. La signora di prima ripassò davanti a lui; rifiutandosi di rendere omaggio al suo sorriso e al suo alito, ella si costrinse a indagare preoccupata dove fosse finito nella borsa il telefonino. Dopo qualche attimo sgomento, lo trovò, consultò le notifiche e non si accorse dei cinque centesimi che, calamitati alla cover, si staccarono e si posarono all'ombra di un tarassaco in fiore.
Lo sguardo abbassato e concentrato di lui, quindi, non era dovuto alla timidezza o al timore di passare per un perticone inopportuno. La sua era sete vera, ma la moneta persisteva a restare nella sua ombra e il tarassaco all'ombra dei leggings della donna, leggings certamente sudati che richiamarono, al contempo, un'altra sete. Egli si confuse a tal punto che non seppe più di che sete morire. Gli venne in mente Pannella
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