Stamani è uscita in edicola la prima edizione della rinnovata Domenica de Il Sole 24 Ore.
Prime impressioni a freddo: a parte la diversa impaginazione in formato tabloid, novità punte. Il formato, più che ampliare i contenuti, ha permesso di ampliare l'offerta pubblicitaria. Pubblicità in gran parte "culturale", concedo, ma sempre di pubblicità si tratta.
Tuttavia, oggi qualcosa di imperdibile c'è: la «Fenomenologia di un'intervista. All'alba con Michel Houellebecq e il suo mal di denti» di Christian Rocca. Se avete occasione di leggere tale intervista (si fa per dire) di alto profilo kurturale, vi prego, non fatevela scappare; essa rappresenta un concentrato dell'establishment culturale italiano. C'è di tutto, tutto il galoppinismo di addetti ai lavori che determinano il gusto editoriale di quella nicchia di lettori disperati delle attuali terze pagine giornalistiche. Si capiscono le consorterie dei gusti che per distinguersi cercano di differenziarsi sul colore della muffa. E infatti, dato che il circolo culturale cosiddetto progressista di Repubblica con la filosofa Michela Marzano ha criticato l'ultimo Houellebecq, allora necessariamente bisogna parlarne bene perché noi siamo più intelligenti, più raffinati, più comprensivi del genio.
Ma andate a fanculo voi e Houellebecq (anche se lui non c'entra) e tutto il vostro sistema di ergere ad autore di culto soltanto chi ha avuto culo (e la bravura, d'accordo) di scrivere qualcosa che un certo pubblico di critici militari ha voluto elevare agli allori.
«L'appuntamento iniziale era per il giorno precedente, sabato. Stessa location, ma alla più agevole ora di pranzo. Alle pattuite 13,30, però, Houellebecq non c'era. Al suo posto, nella hall dell'albergo, c'erano Cristina Sanna Passino del Tg1 con troupe televisiva al seguito, Mariarosa Mancuso nella sua veste di giornalista culturale della Radio Svizzera [doppio lavoro!] e il team Bompiani guidato da Elisabetta Sgarbi».
Ma lo scrittore francese dà buca e il Rocca occupa una colonna intera a spiegarne le ragioni facendo delle palle del lettore delle naveline ingrossate dal calor rabbioso del nostro Etna interiore. Ma sapete perché il Rocca la fa tanto lunga? Perché alla fine possa scrivere con malcelato orgoglio:
«Houellebecq ha cambiato idea. Avrebbe concesso una sola intervista, l'indomani mattina, domenica, alle 8. Il fortunato sarebbe stato l'ignaro cronista dell'inserto culturale del principale quotidiano economico italiano». Ma vaffanculo di nuovo, va.
Il bello però deve ancora venire per assistere a una intervista senza domande, con sole risposte. Rocca ci premette che il mal di denti di Houellebecq dev'essere davvero terribile e questo peggiora la sua trista fama di scrittore scontroso e restio a rispondere alle domande degli intervistatori soprattutto se queste vertono «sullo specifico narrativo o sulla grammatica letteraria». Ma Rocca di domande ne ha fatte, a raffica, anche se esse non compaiono; infatti, ci sono solo le risposte brevi, secche dello scrittore francese che da sole bastano a far presagire il tipo di domande. Le riporto:
«Sì, mi piace Nicolas Sarkozy».
«No, non al punto di tornare a vivere in Francia».
«Sì, vivo in Irlanda».
«No, la crisi irlandese non ha cambiato la mia vita».
«Non scrivo più di Islam perché non ho cambiato idea».
«No, non ho conosciuto Oriana Fallaci».
«Non scrivo di America perché non mi interessa l'America».
«Non m'interessa nemmeno Obama, non è il mio Presidente».
«No, il mio nuovo libro non è una satira del mondo dell'arte».
«Sì, nel romanzo ho ucciso Michel Houellebecq, perché è molto più divertente uccidere se stessi».
«Non ho una visione giusta della società, in realtà me ne frego».
«L'eutanasia è un omicidio».
«Non sono pessimista».
«No, non sono reazionario».
«Sì, sono conservatore».
Badate bene, a tutte queste risposte non c'è domanda di Rocca perché sono tutte domande del cazzo che egli stesso si vergogna, a posteriori, di riportare. Andiamo avanti. Rocca riprende la parola:
«Houellebecq ha un soprassalto soltanto quando sente pronunciare il nome “Ratzinger”. Non che avesse intuito la domanda [chissà che domanda sarà stata?] “No, no - spiega tramite la traduttrice - ho solo capito la parola Ratzinger. Questo Papa mi piace molto”».
Sono convinto che Rocca quando ha udito tali parole è andato in brodo di giuggiole. Allora giù a pie' pari nello specifico bioetico per tirare per i capelli Houellebecq dentro le posizioni neo-teo-rincon tanto che c'è anche questa risposta:
«La quarta settimana dovrebbe essere il termine ultimo per abortire».
Certo, non è che Houellebecq si faccia così ascrivere al consorzio culturale ciellino e fogliante; infatti, ribadisce anche che lui non capisce «quale sia il problema morale della clonazione».
Comunque, ditemi con sincerità quale risposta succitata può invogliare alla lettura dell'autore? Ovvero, a cosa è servita tale "privilegiata" intervista? Risponde Rocca:
«Mentre Houellebecq risponde o non risponde, sempre con la stessa voce impercettibile da malato terminale, l'intervistatore comprende finalmente la grandezza dello scrittore. Non sa se Houellebecq lo faccia apposta, magari no, ma i lunghi "uhm", le non risposte, la mollezza oratoria dimostrano in modo plastico che gli scrittori devono limitarsi a scrivere, i cantanti a cantare e i pittori a dipingere. I giornalisti, soprattutto, dovrebbero evitare di fare domande a un narratore, a un musicista, a un artista. Non dovrebbero chiedergli pareri geopolitici, filosofici o storici. Non dovrebbero chiedergli niente».
Avete letto bene, giuro. È scritto proprio così. Ma come si fa a rimanere inermi? O uno schianta dalle risa oppure s'arrabbia come un toro nella corrida (con Rocca, però, meglio è fare come el toro Ferdinando e annusare margherite). Infatti, come se non bastasse, Rocca affonda la lama su di sé con un harakiri micidiale - e il bello è che, secondo me, non si rende conto di darsi martellate sulle palle da solo:
«Bisognerebbe ribellarsi alla dittatura delle interviste, scatenare la controrivoluzione pop, seguire al contrario l'esempio di Andy Warhol e fondare la rivista No Interview. La colpa dell'afasia di Houellebecq non è sua. Lui è un gigante».
Basta, io non voglie essere offensivo. Telefonate al direttore Gianni Riotta (o al caporedattore Santambrogio) e chiedete di comprare, per i collaboratori della Domenica, dei parapalle più resistenti possibile soprattutto in formato tabloid.
3 commenti:
Non so se può sbollire un po' la tua rabbia, ma leggere questo articolo mi ha fatto molto sorridere. :)
In realtà, leggere tale "intervista" non mi ha fatto arrabbiare... ma sorridere. Son contento di averti "contagiato".
... mi verrebbe anche a me spontaneo un bel fanculo ma non sono poi molto kurturale... grazie Luca che mi hai fatto ridere (che non sembrerebbe un complimento ma lo è). marinella
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