A Malvino, in attesa di un suo nuovo post
È un po' di tempo che non sono “teologico”, vale a dire che non m'interrogo sull'esistenza o non esistenza di Dio, che parlo con Lui o con l'idea di Lui che invento a seconda del caso e dell'umore. Non che mi manchi, Dio, non sapendo bene come possa mancare un vuoto. Infatti, di solito mancano cose e persone che prima c'erano e poi, zac, spariscono, per vari motivi che non sto a dire, mi limito a parlare solo del classico amore che prima c'era e poi, zacchete, sparito, se l'è portato via il vento, oppure all'estero, come la valuta.
Così, stasera - meglio: stanotte, preso da un'improbabile nostalgia canaglia, getto la lenza su qualche meditazione spirituale dallo scaffale, pesco, a caso, dai Chassidim (setta di mistici ebrei orientali vissuti intorno alla metà del Settecento) queste parole:
«Di un maestro si narra che, nelle ore dell'estasi, doveva guardare l'orologio per tenersi legato a questo mondo, e di un altro maestro che quando voleva osservare le cose singole doveva inforcare gli occhiali in modo da tenere a freno la propria vista spirituale; altrimenti avrebbe visto ogni singola cosa del mondo come qualcosa di unico»¹.
La prima cosa che mi viene in mente è Paolo Brosio. Poi Elio e le storie tese. Poi ancora Woody Allen. Sono io che sono un bifolco insensibile, oppure la suddetta meditazione è davvero una grande cazzata degna del miglior Lebowski?
Per evitare di rispondere alla domanda provate, come me, a dire cosa fate per tenervi legati a questo mondo. Io di solito mi tocco il bassoventre. E per tenere a freno la vista spirituale in modo da osservare le cose singole? Non inforco gli occhiali, no. Muovo le mani (di solito una). Ho perso solo qualche grado in questi anni. Mi è andata bene.
¹Martin Buber, Confessioni estatiche, Adelphi, Milano 1987 (traduzione di Cinzia Romani)
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