A tempo perso, ogni tanto apro il mio account su Twitter. Preciso: io Twitter lo uso solo per rinviare quello che pubblico qui, non altro. Non motteggio, mi viene difficile. Ma stamani ho aperto la mia pagina twitteriana e, cosa strana, vi trovo una sfilza di cinguettii einaudiani (dacché, tra i miei following, v'è Giulio Einaudi Editore):
Non ho nulla contro le citazioni; figuriamoci, fondo gran parte di questo blog su di esse. Ma trovo abbia poco senso (per usare un eufemismo) che esse vengano sparate così, alla cazzo di budda (cit.). Citare così mi sembra un tentativo disperato di seminare cultura, un po' come un povero soffione cittadino che disperde i suoi semi al vento nella speranza inutile di perpetuare la sua specie sull'asfalto.
Se di questo citazionismo masturbatorio siamo vittima io e il cardinal Ravasi, passi; ma se ci cade anche un editore di rilievo come Einaudi, che nasce come impresa culturale ancor prima che economica, mi sembra veramente deleterio e irriguardoso nei confronti degli stessi autori citati.
Comunque, impressioni mie a parte, ho twittato una risposta @Einaudieditore, questa:
E cosa strana, ma simpatica, essi mi hanno risposto:
La risposta mi spinto poi a chiedere:
e mi hanno tolto la curiosità così:
Questo accade, insomma, nell'epoca del twitteraggio culturale.
Twittare, più che cinguettare, mi sembra una salivazione continua di pensieri che sputiamo agli altri per mostrarci arguti e intelligenti, simpatici e interessanti. Per catturare l'attenzione e ottenere riconoscimento. Il problema è che a forza di sputare si resta spesso a gola secca. Allora si cercano le fonti, ci si abbevera al sapere altrui e si sputano citazioni.
6 commenti:
Che tristezza. A me innervosisce questa cosa della sintesi in 140 caratteri, speculare del fatto che nell'esistenza odierna non dobbiamo perdere né far perdere tempo. Ebbene, vi sono concetti e comunicazioni - anche affettive - che non puoi spiegare in 140 caratteri, ergo se uno vuol vivere in una vita comulsiva di una massa di cinguettii sintetici, beh... quel qualcuno può accomodarsi altrove, e non presso di me.
Buona domenica, caro :-)
mah. io ho un punto di vista quantitativo (come sai)(è un pdv generale, l'ho detto anche nel libro parlando d'altro che di twitter): la forza della massa che viene procurata dal bagaglio di einaudi (o altre case così grandi o di più) è in sé un modo di comunicare. e il contenuto della comunicazione è "siamo noi, siamo questo". non è necessario sviluppare un discorso organico. non è necessario in primo luogo su twitter dove la brevità è regola e quindi spezza già i discorsi. twitter poi è social network (anche se lo è diventato poi, non credo che i fondatori ci avessero pensato tanto) e ha altre funzioni: se io posto una citazione, esprimo un mio stato d'animo in modo "elegante" e cerco sponde, se qualcuno mi risponde o ritwitta.
inoltre non è più necessario il discorso organico perché sono sempre meno le persone che lo seguono. il modo di pensare sta cambiando. meno profondo? va beh, è più ampio.
@ Minerva.
Non per niente "affidiamo" i nostri pensieri al - e preferiamo leggere i pensieri altrui dentro il contenitore "blog".
Altrettanto b.d. cara :-)
@ Alex
capisco e apprezzo e in gran parte condivido il tuo pdv.
Ma riguardo alla questione #twitdieinaudi mi sembra che chi mette Einaudi tra i suoi following non cerchi tanto citazioni quanto lampi di informazione culturale. Cioè, chi se ne sbatte se X ha detto y se poi non mi dici in qual libro si trova y?
hai un'idea troppo "alta" (tradizionale, forse?) di cosa deve essere la cultura. il twit con la citazione è fruibile in sé, anche se non so da dove proviene quel "momento di saggezza". d'altronde, tu lo sai da che autore proviene "meglio un uovo oggi ecc", o altri simili?
No, non alta né tradizionale... direi un'idea di richiami e rimandi ininterrotta, un continuo saltare da un libro a un altro, da un quadro a un brano musicale - e il cinguettio è come una foglia su un fiume: ci saltano sopra solo gli insetti.
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