Anni fa (sarà stato il 1993, piena Tangentopoli), più o meno in questo periodo dell'anno, ebbi la fortuna (!?) di viaggiare nella tratta Milano-Sion, sul Cisalpino, seduto di fronte a Gayla (credo con la y), una stupenda modella di Armani (così ella mi disse, che sfilava per lui). Bella era bella, era poi sola e, ma tu guarda il caso, avevo il posto prenotato proprio davanti a lei. Confrontai più volte il numero scritto nel mio biglietto con quello scritto sopra il sedile, per essere sicuro di non aver preso un abbaglio: nessun dubbio, quel sedile era mio e lei era davanti a me.
Silenzio imbarazzato fino a Gallarate, furtivi sguardi reciproci (soprattutto i miei), nel tentativo elegante di imbastire un approccio (intanto controllavo più volte se puzzavo di sudore: avevo fatto una corsa bestia per non perdere quel treno. Il diretto che mi aveva portato in centrale da Firenze era un'ora in ritardo, solo due minuti per andare da un binario a un altro, che fiatone!).
A Sesto Calende, dopo aver finito la lettura di un rotocalco, Gayla tirò fuori dalla sua borsa Morte a Venezia. Era il momento. Posai un attimo il Purgatorio di Sermonti (con la supervisione di Contini), tirai fuori dal mio zaino Tonio Kröger e le dissi, cercando di assumere un tono ironicamente cattedratico: «Suggerisco anche questo, dello stesso autore».
Fu così che iniziammo a parlare di letteratura, di arte, dei miei inutili studi filosofici e del suo lavoro da modella. Dio, quant'era bella, la voce calma e suadente e, soprattutto, percepivo la sua benevolenza nell'ascoltare le mie fole letterarie ed esistenziali. La piacevole conversazione fu interrotta soltanto a Iselle, quando tre doganieri (due uomini e un pastore tedesco) entrarono nel vagone per dei controlli di routine. Arrivarono da me, da noi, quando il treno era nel pieno del tunnel (del Sempione). Avevo i capelli leggermente lunghi, uno zaino un po' sospetto e lo sguardo estasiato da cotanta bellezza.
«Documenti», mi chiesero. A me e basta, naturalmente, non appena dissi che no, «purtroppo io e la signorina non viaggiamo insieme pur se viaggiamo insieme».
Mi fecero aprire lo zaino e si concentrarono su una piccola borsetta dove tenevo rasoio-sapone-spazzolino-dentifricio e due barattolini di pillole, uno di echinacea e uno di rosa canina (ero fissato con la fitoterapia).
«E queste cosa sono?», mi chiese uno dei due, quello più giovane.
«Beh, c'è scritto mi pare», risposi con tono dimesso.
«Non faccia lo spiritoso» e aprirono i piccoli barattoli e li fecero annusare al pastore che mi fece una faccia triste come di chi si giustificasse che non era sua la colpa. Di poi, il più anziano, prese il mio dentifricio alle erbe, svitò il tappo, e fece annusare anch'esso al cane, il quale - attratto si vede dal ricordo dei profumi selvatici di timo e ortica - lasciò una piccola goccia umida del suo naso proprio nella filettatura del tubetto e cominciò a sbavare. Un pastore nostalgico, insomma.
Mi lasciarono lì con lo zaino sottosopra senza nemmeno scusarsi del disturbo i due ligi doganieri, solo il cane mi fece un cenno di saluto leccandomi una mano.
La conversazione con Gayla riprese senza ritrovare l'incanto di prima. A Sion poi lei scese; la madre, che stava aspettando ai piedi del binario, salì per aiutarla a scendere i bagagli. Era una madre dallo sguardo severo, altoborghese, sorpresa che la figlia parlasse con uno scalzacane come me. La stava aspettando per raggiungere il rifugio in quota, su a Crans Montana. Subodorai odore di muffa, nella madre intendo, e avrei voluto essere Robin Hood in quello stesso momento per centrare una freccia sul culo della signora, fasciato in una tuta doposci color fucsia. Ci eravamo scambiati gli indirizzi, io e la figlia, e ci scrivemmo, successivamente qualche cartolina. Ma niente di più. Non c'erano cellulari ancora, e internet venne poi. Chissà in quale parte di mondo sarà ora e se, in certe fredde sere, tra il lusco e il brusco, si ricorderà di me. Ne dubito.
Ma perché io, intanto, mi sono ricordato di lei e dell'episodio dei doganieri?
Per questo.
A fine 2011 almeno 11 miliardi sono stati esportati illegalmente all'estero. Sono tornati i famigerati spalloni: negli ultimi tre mesi dell'anno i sequestri di valuta ai valichi di frontiera sono aumentati di oltre il 50%. Le esportazioni di lingotti d'oro verso la Confederazione elvetica è cresciuta tra il 30 e il 40%. "Il flusso in uscita di capitali e di beni pregiati, dall'inizio di gennaio, è in aumento esponenziale", conferma Befera. Che avverte: "Alcune banche svizzere hanno cominciato ad affittare le cassette di sicurezza dei grandi alberghi, perché non sono in grado di esaudire l'abnorme quantità di richieste che hanno dai clienti italiani".
I famigerati spalloni. Ché, forse, se all'epoca fossi stato uno di loro, la signora, madre della modella, mi avrebbe fatto gli occhi dolci e invitato a seguire al rifugio lei e la figlia?
6 commenti:
Un racconto rapido, arguto, malinconico, divertente. Bellissimo.
Gentile anonimo, la (ti) ringrazio per queste belle parole che mi tributi. Un caro saluto.
L.
Errata corrige:
"che mi tributa"
(non ho messo tale opzione, in caso del "lei" mi scuso)
E io ho dimenticato di lasciare il mio nome.
(Risata franca, in particolare, giunto al "Robin Hood ... fasciato in una tuta doposci color fucsia")
Hans
Ho pensato che tu avessi pensato che la bella, ella, portasse con sé, o in sé, oro, languidi arditi trafugati lingotti, che solo tu avresti potuto scoprire, non certo gli stolidi doganieri, e questo la madre lo sapeva - il buon lupacchione addomesticato aveva invece capito tutto, di te, di ella, dell'oro languido e fuggitivo che varca le frontiere.
Mi convince molto la tua interpretazione, caro Rom :-)
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