lunedì 4 giugno 2012

Al posto della verità troveremo


Non vorrei sembrare maleducato con Andrej Tarkovskij, ma Avvenire, per pubblicare un suo scritto inedito, ha usato un titolo che si presta, purtroppo, a facili malintesi: «Voglio mettere il dito nell'infinito dell'uomo». 
Ma va bene anche così, in fondo
«L’opera d’arte deve essere capace di suscitare una forte emozione, una catarsi. Deve essere in grado di toccare la viva sofferenza dell’uomo. Lo scopo dell’arte non è quello di insegnare a vivere (forse Leonardo ci insegna qualcosa con le sue Madonne o Rublev con la sua Trinità?). L’arte non ha mai risolto i problemi, semmai li ha posti. L’arte trasforma l’uomo, lo prepara a percepire il bene, sprigiona l’energia spirituale. È qui che risiede il suo alto fine.»

3 commenti:

guardaitreni ha detto...

Penso che sia così da quando ho provato l'esperienza del sublime davanti alla Venere del Botticelli.

Luca Massaro ha detto...

Sì, credo di sì.

melusina ha detto...

Io mi sciolgo anche davanti alla scelta di un vocabolo azzeccato su una pagina scritta. Poi ci sono quelli che provano una forte emozione solo allo stadio, e catarsi se la loro squadra risale uno svantaggio. Mah.