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La Pietra Nera invece è arrivata: per comprare quella bella figa dell'Italia.
A parte.
A proposito di risparmio: sotto trascrivo (anzi copio e incollo da qui) una formidabile pagina dei Grundrisse.
Son citazioni lunghe, comprendo. Ma al di là di questo, chi meglio di Marx - puttana della miseria - spiega l'andazzo di stocazzo di sistema produttivo capitalistico?
«Se
tutti [gli operai] risparmiano, una
generale riduzione del
salario li rimette subito in linea; giacché il generale risparmio
mostrerebbe al capitalista che il loro salario è generalmente
troppo alto, e che essi ricevono più dell’equivalente della loro
merce, costituita dalla disponibilità sul loro lavoro;
infatti la
natura dello scambio semplice — ed è questo il rapporto in cui
essi stanno col
capitalista — consiste esattamente nel fatto che
nessuno mette in circolazione più di
quanto ne detrae, ma può
detrarne soltanto quanto vi ha messo. Un singolo operaio può
impegnarsi al di sopra del limite normale, e più di quanto debba
farlo per vivere
come operaio, soltanto perché un altro sta al di
sotto di quel limite ed è più pigro;
egli può risparmiare
soltanto perché e se un altro sperpera. Il risultato massimo cui
egli può giungere in media con la sua parsimonia, è la possibilità
di sopportare meglio la
compensazione dei prezzi — i loro alti e
bassi, il loro ciclo; ossia, soltanto una più
razionale
distribuzione dei suoi godimenti, non l’acquisto di ricchezza. Ed è
proprio questo
che chiedono i capitalisti. Secondo loro gli operai
in periodo di prosperità economica
devono risparmiare tanto da
poter più o meno vivere in periodo di crisi, sopportare la
riduzione d’orario o il ribasso dei salari ecc. (che allora
sarebbe ancora più forte). La
pretesa insomma è che gli operai si
mantengano costantemente su un tenore di vita
minimo, e facilitino
ai capitalisti le crisi ecc., che si comportino come pure macchine
lavoratrici e possibilmente ne paghino anche l’uso e consumo. È
evidente che tutto ciò
sboccherebbe in un vero e proprio
abbrutimento e che tale abbrutimento renderebbe già
impossibile
anche il solo desiderio della ricchezza nella forma generale di
denaro, di
denaro accumulato, (mentre la partecipazione dell’operaio
a godimenti superiori, anche
spirituali, come l’agitazione per i
propri interessi, la possibilità di avere propri giornali, di
erudirsi, di educare i figli, di sviluppare il gusto ecc., la sua
unica partecipazione
all’incivilimento, che lo distingue dallo
schiavo, è economicamente possibile solo mediante
l’allargamento
della sfera dei suoi godimenti nei periodi di prosperità degli
affari, ossia nei
periodi in cui in una certa misura è possibile il
risparmio). Ma a prescindere da tutto ciò,
l’operaio che
risparmiasse in maniera veramente ascetica e accumulasse in tal modo
premi per il sottoproletariato e per i furfanti, i quali
aumenterebbero in rapporto alla
domanda, potrebbe conservare e far
fruttare i suoi risparmi — quando essi sono superiori
al
salvadanaio delle casse di risparmio ufficiali, che gli pagano un
interesse minimo per permettere ai capitalisti di trarre grossi
interessi dai loro risparmi, oppure allo Stato di
rastrellarli, con
la qual cosa l’operaio non fa che aumentare la forza del suo
avversario e la
propria dipendenza —, soltanto depositandoli nelle
banche, cosicché poi in periodo di crisi egli perde i suoi depositi,
mentre in periodo di prosperità ha rinunciato ad ogni godimento
per
accrescere il potere del capitale; insomma in ogni caso egli ha
risparmiato per il
capitale, non per sé. Del resto, — nella
misura in cui tutta la faccenda non si riduce ad una ipocrita
fraseologia della «filantropia» borghese, che in generale consiste
nel pascere l’operaio di «pii desideri» — ciascun capitalista
pretende, è vero, che i suoi operai risparmino, ma vuole anche che
siano soltanto i suoi a risparmiare, perché gli stanno di fronte
come operai; ma per l’amore del cielo non lo faccia il restante
mondo degli operai, giacché questi gli stanno di fronte come
consumatori. A
dispetto di tutta la “pia” fraseologia, egli
ricorre allora a tutti i mezzi pur di stimolarli al
consumo, di dare
nuove attrattive alle sue merci, di convincerli a crearsi nuovi
bisogni. È
proprio questo lato del rapporto tra capitale e lavoro
che è un momento essenziale di incivilimento, sul quale si basa la
giustificazione storica. […]
Ma
queste sono tutte considerazioni essoteriche, pertinenti
nella
misura in cui si dimostra che le pretese dell’ipocrita filantropia
borghese si dissolvono
internamente e confermano quindi proprio ciò
che vorrebbero smentire, e cioè che nello
scambio dell’operaio
col capitale, l’operaio si trova nel rapporto di circolazione
semplice, e
che dunque egli non riceve ricchezza ma soltanto mezzi
di sussistenza, valori d’uso per il
consumo immediato.»
Karl
Marx, Grundrisse, Il Capitolo
del Capitale, Quaderno II, pag. 237-238 edizione Einaudi.
1 commento:
Grazie per il link, ma se continui a scegliere tu i passaggi più significativi a me va benissimo. Li metto a risparmio nella mia banca mentale. E' meglio di no? Ne approfitta comunque il Capitale Interno della Vuota Erudizione? Allora li consumo subito e poi li dimentico. E' facile, dimenticare Marx.
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