domenica 15 giugno 2014

La carezza più profonda

«Doveva essere il silenzio a dargli l'impressione che il tempo si stirasse, che divenisse interminabile, e al contempo la stanchezza dei suoi occhi così appiccicati alle cose andava come allontanando le immagini».

Julio Cortázar, “La carezza più profonda”,
da Il giro del mondo in ottanta mondi, traduzione di Stefania Fabri, Einaudi-Gallimard, Torino 1994.

Non c'è il sole più, non c'è il sole che, a quest'ora del pomeriggio, potrebbe sciogliere il silenzio, disfarlo, farlo diventare nuvola.
Ah, ecco perché oggi, d'improvviso, dopo tanto caldo, il cielo s'è fatto così cupo: è il silenzio che s'è vaporizzato. Tra poco un tuono annuncerà il temporale e pioveranno gocce salate come lacrime.
Che piova comunque è bene, perché almeno la pioggia un suono lo produce e il silenzio spezza, un silenzio che neanche nello spazio hanno la ventura di ascoltare.
Una prolungata immersione nel silenzio provoca un vuoto nello stomaco, lo stomaco che si fa sempre avanti a dire la sua come organo inconsapevole, ingestibile cerebralmente. Per esempio, ti viene una sete urgente e prendi un bicchier d'acqua ma senti già al primo sorso che l'esofago limita l'apertura e non capisci, spingi l'acqua dentro bocca a forza e ti va a traverso, e tossisci e sputi fuori il poco che avevi bevuto, t'incazzi e, con una smorfia di disappunto, getti direttamente il viso sotto il rubinetto per confondere ai tuoi occhi la disperazione. Per fortuna è stagione di ciliegie, qualcosa che mangi e puoi sputare insieme.

(Tenere fermi i pensieri attaccati al presente è un'impresa che richiede una forza tranquilla e un aiuto che proviene solo dalla comprensione, la quale è, di fatto, compressione al vivere qui e ora senza mentire a sé e agli altri.)



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