«Doveva
essere il silenzio a dargli l'impressione che il tempo si stirasse,
che divenisse interminabile, e al contempo la stanchezza dei suoi
occhi così appiccicati alle cose andava come allontanando le
immagini».
Julio
Cortázar, “La
carezza più profonda”,
da
Il giro del
mondo in ottanta mondi, traduzione
di Stefania Fabri, Einaudi-Gallimard, Torino 1994.
Non
c'è il sole più, non c'è il sole che, a quest'ora del pomeriggio,
potrebbe sciogliere il silenzio, disfarlo, farlo diventare nuvola.
Ah,
ecco perché oggi, d'improvviso, dopo tanto caldo, il cielo s'è
fatto così cupo: è il silenzio che s'è vaporizzato. Tra poco un
tuono annuncerà il temporale e pioveranno gocce salate come lacrime.
Che
piova comunque è bene, perché almeno la pioggia un suono lo produce
e il silenzio spezza, un silenzio che neanche nello spazio hanno la
ventura di ascoltare.
Una
prolungata immersione nel silenzio provoca un vuoto nello stomaco, lo
stomaco che si fa sempre avanti a dire la sua come organo
inconsapevole, ingestibile cerebralmente. Per esempio, ti viene una
sete urgente e prendi un bicchier d'acqua ma senti già al primo
sorso che l'esofago limita l'apertura e non capisci, spingi l'acqua
dentro bocca a forza e ti va a traverso, e tossisci e sputi fuori il
poco che avevi bevuto, t'incazzi e, con una smorfia di disappunto,
getti direttamente il viso sotto il rubinetto per confondere ai tuoi
occhi la disperazione. Per fortuna è stagione di ciliegie, qualcosa che mangi e puoi sputare insieme.
(Tenere
fermi i pensieri attaccati al presente è un'impresa che richiede una
forza tranquilla e un aiuto che proviene solo dalla comprensione, la
quale è, di fatto, compressione
al vivere qui e ora senza mentire a sé e agli altri.)
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