«Che cosa significa per il cristianesimo l'idea che esistano altre religioni universali o dalla potenziale destinazione universale in aree non piccole del pianeta? Sono le altre religioni vie equivalenti al cristianesimo per accedere al mistero della divinità e farne esperienza salvifica? Se sì, a che scopo un cristiano dovrebbe impegnarsi per l'annuncio del Vangelo nel mondo? Se no, quale senso ha il dialogo interreligioso e come intenderlo?»
Questo incipit dell'articolo di Bruno Forte (arcivescovo di Chieti-Vasto, fine teologo, pubblicista), in prima pagina de Il Sole 24 Ore di stamani, richiama subito la mia attenzione. Dico: finalmente, si arriva al punto: perché, appunto, esistono tante religioni se Dio in fondo è uno solo?
Svelto, raggiungo pag. 15 dove leggo il seguito. Delusione. Sono ingenuo, cado sempre nella trappola di chi crede che, un giorno, un alto rappresentante della Chiesa possa rinunciare al primato del proprio credo.
Ma vediamo. Bruno Forte parla delle tre principali posizioni di fronte alla questione:
- l'esclusivismo, «per il quale nessuna religione è salva ad di fuori del cristianesimo» (o anche di altro tipo di religione);
- il pluralismo relativistico, secondo il quale il cristianesimo (o altra religione) non è la religione assoluta, ma uno dei tanti possibili modi per incontrare il divino. Certo, Gesù Cristo è una della star principali e più influenti, ma non è l'unico tramite per arrivare a Dio;
- l'inclusivismo. E questa è la posizione più cara a Forte e alla maggior parte dei pensatori cristiani. Essa afferma, in sostanza, che «Cristo è l'unico mediatore e senza di lui non c'è salvezza. Tuttavia», concede Forte, «l'adesione a Cristo può avvenire sia in forma esplicita, sia in maniera più o meno implicita, ad esempio attraverso il desiderio del battesimo per coloro che non possono conoscere ancora Dio in Gesù, ma sono già in certo modo uniti a Dio. Le vie misteriose dello Spirito di Cristo, insomma, raggiungono ogni persona onesta che cerchi Dio e apra a Lui le porte del suo cuore. Ecco, allora, l'importanza di scoprire Cristo quale punto di riferimento irrinunciabile senza negare il rispetto dell'altro».
Inclusivismo: se togli “-sivismo” e sposti la “l” dopo la “u” ci si avvicina a cosa, in realtà, s'intende con tale posizione.
Il desiderio del battesimo, che cos'è? Io, come tanti, non ho mai desiderato di essere battezzato. Non potevo. Lo sono stato, e amen. Così come ho preso la confessione e la comunione, la cresima e, non infierite, il matrimonio. Quindi, ho una nutrita serie di sacramenti sulle spalle. Escludendo l'ordine sacro, me ne manca uno (non ditemi di togliermi la mani da lì). Ecco, ci pensavo questi giorni. La confermazione o cresima avrebbero dovuto metterla intorno ai quaranta/cinquant'anni, mica a tredici/quattordici. Mi ricordo a malapena della mano unta del vescovo che si pose sulla mia fronte, e meno male solo lì, a me, ragazzino pallido in attesa che tutto fosse presto finito per tornare a giocare a pallone in strada. Se dalla diocesi ci richiamassero tutti, classe dopo classe, per vedere un po' come la pensano gli ex-giovani cristiani, dopo tanti anni, passati a far peccati, ad allontanarsi gradualmente dai dettami della Chiesa, non ascoltandola manco per il cazzo sul fatto del preservativo e altro ancora, denigrandola profondamente, da sempre, sul loro generale appoggio al potente di turno della storia, di qualsiasi razza esso sia.
Ma tutto sarebbe stato nella norma, in fondo il mio cattolicesimo s'era persino un po' ristabilito, causa René Girard e il suo pensiero; ma Darwin incombeva, e non solo lui, 2003, anno per me fatale del cinquantenario della scoperta del Dna. L'orologiaio cieco, Dawkins, Dennett, Harris, Pinker, la perdita graduale di una fede che, in fondo, non era mai stata tale. Certo, le preghiere qualcuna la so ancora, qualche salmo in traduzione ceronettiana me lo porto dietro. Ma mi sento ancora cattolico? No, però lo sono sulla carta, non si cancellano i sacramenti e io certo non vado a farmi sbattezzare, cosa c'entra, non sono un fanatico del niente, sono un verme, me li tengo, non sia mai che a novant'anni la paura della morte mi porti di nuovo in chiesa a pregare in ginocchio per non diventare rincoglionito o paralizzato. Come vedete, sono un utilitarista della peggior specie. Certo, in coscienza, adesso non posso dirmi cristiano in senso tecnico, né tantomeno cattolico (anche se ho la patente per esserlo). Non ci credo e non mi sento figlio della Chiesa, molto semplicemente. Non capisco più come si possa cercare Dio. O meglio: non capisco come Dio possa essere oggetto di culto. Per ovvie ragioni. La prima: Egli (o Ella) deve provare la sua esistenza; per adesso è un Ni-Ente, esiste solo come prodotto della mente di alcuni gruppi umani organizzati in religioni. La seconda: se nella remota ipotesi Egli esistesse, dovrebbe spiegare perché di tutto il "creato", solo in una piccola parte c'è vita; e perché poi, di tutte le forme di vita, solo una di esse ha, non dico la coscienza (anche i cani, in un certo senso, hanno coscienza per me), ma l'idea che Egli esista: insomma, perché solo noi umani crediamo che tutta la messa in scena del "mondo" sia stata creata apposta per la nostra recita? Terza ragione: Egli, dando prova della sua esistenza e spiegazione del fatto che tutto l'universo sia stato creato in funzione della nostra specie, deve infine dirci le ragioni per le quali siamo noi i protagonisti di tutto questo spettacolo più grande dopo il bigbang: eravamo gli unici attori in grado di recitare la parte dei credenti? Perché i pesci palla non andavano bene? Quarta ragione (anche se la lista delle ragioni per non credere sarebbe interminabile), Dio dovrebbe spiegarci perché nell'antichità si manifestava con maggiore frequenza, di quanto invece faccia nella modernità; ovvero perché nella nostra epoca, così adatta alla diffusione dei prodotti commerciali, non scrive un nuovo best-seller di persona, senza affidarsi a falsi profeti o imbonitori televisivi.
Infine, per tornare alla serietà delle considerazioni teologiche di Bruno Forte, vorrei far notare che se «Cristo è un punto di riferimento irrinunciabile» come si fa a portare rispetto a coloro che non crederanno mai a tale assunto? Vale a dire: come potremo sentirci fratelli di coloro che rinunciano volentieri a Cristo? In poche parole: un cattolico schiacciato dal terremoto a L'Aquila ha più possibilità di salvezza di uno scintoista giapponese inghiottito dal maremoto, o di un musulmano turco seppellito dalle macerie?
2 commenti:
La domanda rimane: perché esistono e sono esistite tante religioni diverse?
Perché Gesù è un riferimento irrinunciabile mentre Budda non lo sarebbe?
Se è una questione di fede, la risposta non c'è: la fede è un atto della volontà e c'è poco da aggiungere.
Se c'entrano argomentazioni di qualche tipo andrebbero esplicitati, ma latitano...
esplicitate, non "esplicitati"
Pardon
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