L'ossigeno dei gesti permette ai rapporti umani di respirare. Le parole stancano, dividono, creano solchi, falsificano la comunicazione, il contatto. Le parole rivestono con una pellicola di cellophane i nostri corpi: prova ad addentarmi ora, se ci riesci. Strati su strati di parole che vanno in giro a rappresentarci, come fossimo noi, quelle. Le scriviamo, le pronunciamo osservandone gli effetti; fuoriescono da noi come se fossero noi, parte del nostro corpo, cellule che non erano nostre, non lo sono mai state.
Parole che continuano a deluderci, dacché non ci fanno mai entrare dentro la cosa che loro dicono di rappresentare. Provate a prendere una parola qualsiasi, ditela ad alta voce, cercatene la definizione sul dizionario, fatene l'etimologia. Cosa resta in fondo se non un fantasma? Certo, a volte comoda parecchio illuderci che questi fantasmi siano cose vere. E ci facciamo accarezzare da loro, scambiando il vento e il fumo, per una mano e il suo vero odore.
Ma come trarre tutte le conseguenze da queste considerazioni, senza poi chiudersi in un ostinato silenzio? Stare zitti sarebbe l'unica cosa da fare per essere veramente se stessi. Ma il silenzio, oggi, è solo un'altra delle tante parole che compongono il nostro corpo. Siamo ingabbiati di parole. La parola e il nostro corpo, ormai, sono una cosa sola. Le parole ci posseggono. Occorre solo sperare che questi dèmoni non facciano di noi degli zimbelli, delle marionette nelle mani dei grandi affabulatori che impongono i loro racconti per essere creduti come veri, affinché siano ripetuti e ripetuti e imposti come libri sacri. No, noi dobbiamo trovare il modo di filtrare le parole che ci investono quotidianamente, depurarle, masticarle lentamente, digerirle, assimilarle e farle diventare la nostra energia, il nostro modo di essere nel mondo. E se proprio qualche parola non va giù e ci resta di traverso, rigurgitarla, e poi sputarla in faccia a coloro che vogliono imporla come vangelo.
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