A volte sono così triste che potrei fondare una città. A volte sono così allegro che potrei distruggerne una. Adesso non sono né triste, né allegro: scrivo.
La mia non è una scrittura fondativa né affondativa. Mi limito a registrare stati d'animo passeggeri che entrano senza biglietto nel mio cuore obliterato. Ho un abbonamento speciale che mi collega con il tutto. Solo il tutto è difficile da raggiungere. Ci sono troppe fermate e io sono un essere trepidante che vuole bruciare le tappe. Anche i tappi, soprattutto quelli che non consentono un corretto transito intestinale. Ho i miei mezzi. «Anche noi ne abbiamo», direte voi; spero solo non siano gli stessi della pubblicità di quella bionda bifida dalla voce affascinante come una fresatrice.
Se la televisione fosse una cosa seria dovrebbe produrre il Grande Metalmeccanico, altro che discorsi. Un semestre di riprese continuative della vita di un gruppo di metalmeccanici, uomini e donne, chiusi in un capannone a Mirafiori. Con il confessionale anche, e l'eliminazione in diretta. Dei caporeparto. Dei dirigenti di azienda. Degli azionisti di maggioranza. E chi vince la trasmissione guida la Fiat per i prossimi trent'anni. Sarebbe bello.
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