martedì 30 ottobre 2012

Soddisfare interrogativi profondi

Su Avvenire del 27 ottobre (ma io l'ho letta poco fa, dacché ancor presente sull'homepage del giornale), v'è una rapida intervista al filosofo e teologo anglicano Alister McGrath.
Ci sono spunti interessanti, che stimolano il mio spirito polemico. Mi riservo di scrivere qualcosa al riguardo di quanto segue:

Lei si è molto occupato del "nuovo ateismo". Pensa che tale posizione sia stata sfruttata in maniera positiva dai cristiani per spiegare in modo più convincente la propria fede?

«Non c’è dubbio che la nascita del nuovo ateismo ha creato un interesse culturale su Dio. Nelle mie conversazioni e dibattiti con questi nuovi atei li ho speso ringraziati per aver suscitato una nuova curiosità sulle tematiche della religione, di Dio e del senso della vita. D’altra parte attualmente il nuovo ateismo sta perdendo il suo carattere di novità. Si tratta di semplici slogan che oggi vengono visti come semplicisti, e non come asserzioni accurate di sintesi intellettuale. Inoltre, sto scoprendo che molti di quelli che una volta pensavamo [pensavano?] che il nuovo ateismo offrisse delle buone risposte alle grandi domande della vita oggi stanno capendo che esso offre semplici frasi fatte che non soddisfano gli interrogativi profondi». 

Addirittura?

«Sì! Di recente ho parlato con un collega che mi ha raccontato di un progetto molto interessante di cui si sta occupando: sta studiando il caso di quelle persone che si sono convertite al cristianesimo come risultato della loro lettura dei libri del neoateo Richard Dawkins! Questo collega ha scoperto come ci sia gente che ha letto Dawkins con l’aspettativa di trovarvi sofisticate risposte alle grandi questioni della vita. Invece hanno riscontrato qualcosa di inadeguato e superficiale. Ma hanno mantenuto aperta questa loro sete di domanda e hanno trovato la risposta nel cristianesimo».


Chi abbraccia una fede secolare, anzi: millenaria, sa di avere le spalle coperte da un pensiero che ha sfidato i secoli e che ancora resiste e “infetta” numerose menti.
La religione, sinora, evolutivamente, ha avuto ragione, dato che si diffonde e si riproduce molto più del pensiero ateo. Questo è un dato incontrovertibile, purtroppo (dico “purtroppo” perché mi piacerebbe la Terra sperimentasse alcuni secoli di vita con una specie che rinuncia alla fede nell'aldilà e si concentra tutta sull'aldiqua).
Questo preambolo solo a evidenziare la spocchia con la quale intervistatore e intervistato indulgono nell'aggettivo qualificativo “nuovo” accanto ad ateismo. Gongolano e si danno di gomito e, in più, mentono sapendo di mentire, giacché Dawkins, Hitchens, Dennett, Harris, Pinker, Coyne, Myers eccetera, tutto scrivono fuorché slogan, ma solo fondate argomentazioni, a mio avviso convincenti, molto convincenti.
L'ateismo tout court non si pone mai come obiettivo primario quello di rispondere alle grandi domande della vita, perché le grandi domande della vita (perché sono nato e perché muoio e il senso in tutto ciò) non hanno risposte gratificanti e consolatorie, perché oltre la vita hic et nunc c'è il nulla (di noi viventi), lo stesso nulla che ci ha preceduto, composto della stessa fattura di quello che seguirà. Ok, ci si vive male con questo nulla addosso, e infatti - come oggi - mi girano i coglioni apposta. Ma cosa faccio, telefono a Dio e lui mi consola? La Madonna mi farà riprovare il brivido delle poppate di quando ero bambino al seno di mia madre? No. Peccato.
I nuovi religiosi mi dicono di no, dicono di no a tutti, soprattutto agli atei e a coloro che non vogliono guardarlo in faccia questo nulla del prima e del dopo, e che fanno del breve segmento di vita uno spazio per la costruzione di fandonie  ultraterrene con le quali garantire il loro potere mondano, porcomondano.
Gli ateisti, i laicisti non offrono risposte agli interrogativi profondi: non è vero, essi si concentrano sul segmento di vita e dicono che le interrogazioni profonde vanno poste tutte dentro questo spazio centimetrato - e non fuori di esso, magari anche pensando indietro, a coloro che ci hanno preceduto e hanno lasciato tracce e, soprattutto, a coloro che verranno, coi loro segmenti, speriamo sempre più lunghi e piacevoli.
Vivere una vita bella e buona senza sfruttare la vita altrui. Non è male come slogan questo, vero? Vende poco sul mercato? Ma vaffanculo al mercato del senso e del significato.

Infine, se la cosa può interessare il collega non nominato da McGrath, il quale fa un progetto di studio su coloro che si sarebbero convertiti dopo aver letto Dawkins, posso dare la mia testimonianza: anch'io, leggendo Dawkins (ma non solo, anche altri, last but not least Marx), mi sono convertito, non saprei se definitivamente all'ateismo, ma all'agnosticismo di sicuro, ovvero non credo più (non sono mai stato troppo religioso, però in chiesa ci andavo di tanto in tanto, i sacramenti li ho avuti tutti tranne un paio, anche se ora non vado certo a cancellarli con lo sbattezzo o robe del genere, sino alla cresima sono stati inconsapevoli in qualche modo, imposti dal milieu, solo uno consapevole, di cazzate se ne fanno tante).
Ricordo anche l'anno galeotto in cui il dubbio definitivo s'insinuò in me: 2003, cinquantenario della scoperta del DNA. M'iscrissi a una specializzazione di filosofia per avere una doppia laurea (alla quale poi ho rinunciato), e feci alcuni esami. Tra questi c'era un corso d'esame di storia della scienza che verteva su tale anniversario. Tra i libri da leggere v'era L'orologiaio cieco. Non conoscevo Dawkins, conoscevo poco Darwin. Apriti cielo (chiuditi, forse è meglio dire così) e spalancati terra. Fu un tutt'uno. L'idea pericolosa di Darwin s'insinuò nella mia mente ed ebbe la meglio. Dio è un'ipotesi altamente superflua. Di più: se Dio ci fosse e, necessariamente, fosse stato “costretto” a seguire la meravigliosa e, insieme, terribile avventura della vita su questo pianeta, ovvero se davvero l'avesse progettato Lui questo legno storto dell'umanità a partire dalle prime forme di vita, bene, se egli ci fosse non sarebbe qualcosa da adorare e pregare, ma da brontolare e bestemmiare, da prenderlo per il bavero e dirgli: a che cazzo ti serve tutto questo spreco di cellule e tempo, di nascite e di morti, di dolore indicibile e del godimento effimero di pochi? Insomma, a Dio conviene non esistere, ecco tutto.

5 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

mi sembra una di quelle signore che fanno la presentazione presso le abitazioni dii una specifica marca di prodotti dicendo: visto, i prodotti della concorrenza hanno avuto un po' di giro come novità, ma poi i clienti, delusi, sono tornati alla vecchia merda ... pardon alle vecchie e tanto rassicuranti credenze prodotte dalla nostra ditta: la cristianesimo & C

giuliomozzi ha detto...

E' ovvio che se uno si mette a leggere un trattato di biologia con l'aspettativa di trovarvi "sofisticate risposte alle grandi questioni della vita", poi resta deluso.
Però a me tocca dire, da cristiano cattolico qual sono, che nelle Scritture o nei padri della Chiesa eccetera non ho trovato nessuna sofisticata risposta alle grandi questioni della vita.
Basta leggere il libro di Giobbe: un uomo devoto al creatore che il creatore, per scommessa, mette nelle mani dell'avversario. E quando Giobbe ha ben ben patito tutti i mali possibili e immaginabili, e si rivolge al creatore perché mai, santi numi!, tanti mali gli siano stati gettati addosso, il creatore squarcia le nubi, mostra il suo viso e (attenzione: prendendosi la responsabilità di quanto fatto dall'avversario) gli dice: "Senti, Giobbe, perché mai devo render conto a te? Dov'eri tu, mentre io creavo il cielo e la terra? Chi sei tu per pretendere da me - da me! - spiegazioni e giustificazioni?".
E Giobbe: "Mi scusi".
Se queste sono "sofisticate risposte alle grandi domande della vita"...
Mi domando sempre come si possa pensare alla religione come a qualcosa di "consolatorio". A me non mi fa dormir la notte (e infatti, sono le 4.32 e son qui che scrivo).

Luca Massaro ha detto...

Giulio, visto che rammenti Giobbe, mi permetto di suggerirti la lettura de «L'antica via degli empi», Adelphi, di René Girard (anche se, credo, tu lo conosca già). In tal saggio si trova, a mio avviso, la più convincente spiegazione delle sofferenze di Giobbe.
Se in un primo momento gli studi girardiani mi hanno tenuto dentro il perimetro del cristianesimo, appena li ho "miscelati" a qualche lettura darwiniana, mi hanno fatto rompere il recinto della mia religiosità. Girard e la verità della vittima (in buona sostanza: la verità antropologica che Gesù Cristo, tramite i Vangeli, rivela), sono per me tutt'ora validi, ma mi fanno "uscire" di Chiesa e non restarci.

In alcuni libri di biologia, magari in quelli più divulgativi (Dawkins e Dennett sono maestri in questo) si possono trovare risposte, magari non "sofisticate e consolatorie", ma comunque risposte convincenti e suggestive, finanche emozionanti. Sentirsi parte della grande avventura della vita su questo pianeta periferico e, col pensiero, rapidamente gettare uno sguardo, sulla "fatica" evolutiva che ha portato noi umani a riflettere su tale fenomeno, è in sé cosa stupefacente e sufficiente a fornire senso al nostro essere qui.

Kisciotte ha detto...

In principio era l'Uomo. Ma l'Uomo aveva paura del buio della propria finitudine. Allora l'Uomo si creò un dio feticcio a propria immagine e somiglianza. Nella Luce del loro Dio, il buio della paura veniva accantonato, irrisolto, nelle ombre rifulgenti per contrasto, messe da parte. Per ignorarne la presenza si decise allora di spegnere il Cervello, decretando tabù la frequentazione del vero luogo dell'esistenza umana. E si crearono leggende di demoni e streghe, perché l'uomo si guardasse bene dal richiamo della Foresta buia della propria esistenza.
Gli uomini che scelgono di guardare in faccia i limiti dell'esistenza umana, rinunciano alla rassicurante copertina di un Dio amorevole e distruttore di eserciti... di domande da brivido.
Alcuni di questi uomini, nel momento che vengono messi di fronte ad argomentazioni alle quali non basta la mela e il serpente a render conto, presi dall'antica Paura tornano docili nel gregge del loro dio Luce. E lo pregano, con la summa di tutte le frasi fatte: il Padre Nostro e preghiere varie.
Ma soprattutto, ricordiamoci sempre la frase di Hitchens: "Quello che può essere sostenuto senza portare delle prove può essere respinto senza portare delle prove." Altrimenti si finisce sempre irretiti e portati sul loro livello basso e aldilà, ad argomentare con la logica su materiale di provenienza fiabesca ("Le avventure di Giobbe" edizioni Il Roveto Ardente).
Pane e bene.

Luca Massaro ha detto...

Pane e bene anche a te, K., e grazie del tuo prezioso commento.