Bruno Forte, arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto, è uno dei più stimati teologi italiani. Il Sole 24 Ore pubblica spesso suoi articoli. Oggi compare, nella rubrica delle Idee, il suo editorale «I valori della persona nel simbolo del crocifisso». Leggiamo.
Non è la vittoria di una parte, è la vittoria di tutti. La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sull'esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane non solo dà voce a un vasto sentire dei nostri popoli, ma ribadisce anche il principio fondamentale, decisivo per tutti, che la cultura dei diritti dell'uomo non debba mai essere pensata in contrapposizione ai fondamenti religiosi della civiltà, in particolare di una civiltà come quella europea, a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale.
Domanda: se tale sentenza è una «vittoria di tutti», com'è che essa «dà voce a un vasto sentire dei nostri popoli», anziché ad un unanime sentire? Se c'è solo un sentimento “vasto”, sia pure maggioritario e diffusissimo, questo non vuol dire che sia unanimemente condiviso e quindi, senza unanimità, non ci può essere «la vittoria di tutti». Qualcuno sconfitto c'è, a partire da Gesù Cristo stesso... ma questo è un altro discorso.
Si riconosce in questa decisione l'esercizio di una laicità autentica, che vede nel ruolo pubblico delle religioni un diritto inalienabile da rispettare, analogamente a come va rispettata la libertà religiosa dei singoli.
Sinceramente non capisco come per rispettare il “diritto inalienabile” delle religioni di esercitare il loro “ruolo pubblico”, gli si debba concedere delle pareti di particolari edifici pubblici, quali quelli delle aule scolastiche o dei tribunali.
La sentenza riafferma poi il principio di sussidiarietà, più che mai necessario per evitare conflitti altrimenti laceranti fra globalità e identità locali: ogni paese della grande "casa europea" deve godere di un margine di discrezionalità riguardo al valore da attribuire ai simboli legati alla propria storia e alla propria identità nazionale, restando di conseguenza libero di decidere circa il luogo della loro esposizione. Questo vale in particolare per i simboli religiosi: se così non fosse, in nome della libertà religiosa si verrebbe a limitare e persino a negare questa libertà, ignorando le specifiche e legittime identità storico-culturali, che - se adeguatamente valorizzate - diventano esse stesse garanzia dell'insieme, chiamato necessariamente a superarle.
Ecco, l'importante è che lo Stato italiano sia così discreto (ma solerte) nel voler conservare e sentire come proprio elemento indispensabile di coesione nazionale il simbolo religioso del crocifisso.
Questo vale in particolare per i simboli religiosi: se così non fosse, in nome della libertà religiosa si verrebbe a limitare e persino a negare questa libertà, ignorando le specifiche e legittime identità storico-culturali, che - se adeguatamente valorizzate - diventano esse stesse garanzia dell'insieme, chiamato necessariamente a superarle.L'esposizione del Crocifisso non è insomma indottrinamento o violazione dell'altrui libertà, ma espressione dell'identità culturale e religiosa dei paesi di tradizione cristiana, che in maniera così rilevante hanno contribuito alla nascita dell'Unione Europea, proprio in quanto ispirati dai valori che quella tradizione ci ha trasmessi, come dimostrano De Gasperi, Adenauer, Schuman, cristiani convinti e padri dell'Europa unita!
Mi sembra che venga a galla la vera entità della questione "crocifisso sì crocifisso no": come scrive Bruno Forte non si tratta di «indottrinamento o violazione dell'altrui libertà, ma espressione dell'identità culturale e religiosa dei paesi a tradizione cristiana». Ovverosia: per le gerarchie ecclesiastiche il crocifisso deve restare appeso nei luoghi pubblici non tanto come simbolo di fede della loro fede, quanto come marcatore di territorio, come la pisciatina dei cani ai quattro angoli del giardino che significa, appunto: questo è il luogo dove si esercita la mia identità, pregasi non disturbare, o contrapporre a essa altri simboli, o – peggio ancora – lasciare la parete bianca od occupata solo da simboli “laici” dello Stato Italiano (ad es. la foto del Presidente della Repubblica, il tricolore, o i personaggi più illustri della nostra storia).
Il primo e fondamentale fra questi valori, rappresentato precisamente dal crocifisso, è quello della persona umana: che l'essere umano fosse un caso dell'universale, da trattare come numero all'interno di una pluralità da anteporgli comunque sul piano valoriale, è stata a lungo convinzione diffusa nelle diverse civiltà che si sono susseguite nella storia. Che il soggetto umano libero e consapevole sia valore inalienabile, degno di assoluto rispetto, a prescindere dalle condizioni contingenti del suo grado di cultura, di ricchezza o di possibilità, questo l'ha testimoniato e trasmesso al mondo il messaggio cristiano, in particolare a partire dalla straordinaria presa di coscienza collettiva rappresentata dai dibattiti cristologici e trinitari susseguitisi fra il IV e il V secolo della nostra era: grazie ad essi viene definito il concetto di "persona", che riconosce in ogni soggetto umano un'irripetibile singolarità, da rispettare nei suoi diritti di coscienza e di libertà, e da promuovere nel contesto della comunità delle persone e della solidarietà verso i più deboli.
Il crocifisso rappresenta la persona umana (!) dacché nei dibatti cristologici e trinitari è stato formulato, per la prima volta nella storia del pensiero, il concetto di persona umana, di soggetto unico e irripetibile. Bene, anche ammettendo ciò, non è sospetto che solo dopo vari millenni questo concetto sia stato accolto dalle autorità ecclesiastiche perché imposto dai lumi della ragione e dalla nascita delle moderne democrazie? Infatti, la storia della chiesa dimostra come la conquista dei diritti civili e politici della popolazione è stata sempre subita e non favorita dalla Chiesa Cattolica, così come l'indipendenza e la presa di Roma. Se era per la Chiesa insomma, l'Italia non era ancora unita.
Tutto questo fu chiarito riflettendo sul crocifisso: se dall'albero della croce pende il Figlio di Dio fatto uomo, resosi in tutto partecipe della condizione umana, eccetto che nel peccato, ogni nato da donna ne viene illuminato nel valore infinito del suo essere singolare, per quanto provata e crocifissa possa essere la sua condizione storica. Non si tratta, com'è evidente, di riflessioni astratte o lontane dalla nostra immediatezza, come vorrei mostrare ricorrendo a tre esempi, che ribadiscono quanto prezioso e importante per tutti sia il messaggio che viene dal crocifisso, in particolare in quanto esposto in luoghi propri della vita pubblica.
Qui il discorso prende una piega difficile. Lascio correre sperando di poter riprendere questi temi in un altro momento. Il “concetto di peccato” richiede una trattazione a sé. Lasciamo fare gli esempi a Forte:
Penso, anzitutto, agli attuali rumori di possibili, pesanti e certamente dolorosi interventi bellici: chi non si è indignato di fronte alla violazione dei diritti umani e allo sprezzo della vita degli stessi propri connazionali mostrato dal dittatore imprevedibile di un paese a noi così vicino? Chi non sente lo spessore drammatico di decisioni che potranno comportare il rischio e la perdita di altre vite umane, sia pur se in nome della difesa dei diritti calpestati dei più deboli? Il ripudio della guerra come mezzo di soluzione dei conflitti, recepito anche dalla nostra Carta costituzionale, si radica nel patrimonio valoriale che la meditazione sul crocifisso ha offerto alla storia, valorizzando l'essere personale e la solidarietà fra gli umani.
Brutalmente: Cristo approverebbe la risoluzione Onu di bombardare la Libia? O starebbe con le mani in mano a vedere Gheddafi riprendersi Bengasi e sconfiggere la ribellione? E in tutto questo: se domani vi capita di entrare in una scuola o in un tribunale o in altro edificio pubblico con appeso un crocifisso, fissatelo intensamente e fategli questa domanda: tra le due parti in causa, quali bombe sono più sante e intelligenti?
Penso, poi, alla tanto dibattuta questione del federalismo: autentico arricchimento al servizio del bene comune, se pensato a partire dal rispetto delle identità locali e del loro patrimonio spirituale e culturale, pericolosa iattura, se dovesse favorire l'egoismo dei più forti a danno delle aree più deboli e bisognose del paese. Che cos'è un "federalismo solidale" se non l'applicazione dei valori trasmessi dal crocifisso in vista dell'equa coniugazione di globalità e località nella vita della nazione e nella distribuzione delle sue risorse?
Ora, io penso che un teologo raffinato e autorevole possa interrogare il messaggio “divino” un po' come meglio crede, ma diobono! coniugare il crocifisso e il “federalismo solidale” sulla base di comuni valori... è roba da far drizzare tutti i peli dei coglioni. Ecco perché, contrariamente a Goebbels che alla parola cultura metteva mano alla pistola, io invece, quando sento la parola valori mi metto una mano sulle palle (per abbassare i peli di cui sopra).
Penso, infine, all'acceso dibattito sulle dichiarazioni anticipate di trattamento: è la dignità infinita dell'essere personale - anche in stato vegetativo - a imporre il duplice no all'eutanasia e all'accanimento terapeutico. È questa stessa dignità che esige il rispetto di volontà espresse senza ambiguità dalla persona, compatibili con quanto scienza e coscienza impongano ai medici curanti e a chi sia legato affettivamente all'infermo. Il crocifisso che grida "ho sete", poi, fa seriamente pensare al necessario sostegno vitale rappresentato dall'idratazione e dall'alimentazione. Guardare al crocifisso senza pregiudizi potrà aiutare a trovare vie legislative che da una parte rispettino la dignità personale e dall'altra impediscano arbitrii giudiziari.
Qui chiedo aiuto. Non ho capito bene se Bruno Forte sia favorevole ho meno al testamento biologico. Una simile teologia alla Ciriaco De Mita non mi consente di vedere chiaro. Di nuovo, brutalmente: la condizione in cui era Eluana era cristologica? E se sì, ella gridava ho sete, datemi da bere oppure, come lei aveva lasciato detto (e il padre Beppino sosteneva) e come ha riconosciuto la sentenza, ella gridava lasciatemi in pace, non mantenemi in vita artificialmente in queste condizioni di pena?
Una ricerca non facile, certo: da duemila anni, tuttavia, quel crocifisso ci invita a non scegliere scorciatoie compromissorie, al fine di maturare scelte a caro prezzo in nome dell'amore più grande, nella ricerca disinteressata e responsabile del bene comune. Senza quel crocifisso esposto nelle tante "agorà" della vita e della storia saremmo, insomma, certamente peggiori di come siamo. Riconoscerne il messaggio e viverlo insieme, da credenti e non credenti, non potrà che renderci tutti migliori, eredi di quel patrimonio culturale e spirituale cristiano da cui veniamo, di cui la celebrazione dei centocinquant'anni dell'unità nazionale sembra averci opportunamente resi più consapevoli e fieri.
La storia tratteggiata da Luigi Castaldi dimostra che le ragioni storiche del crocifisso appeso negli edifici pubblici sono così poco nobili da non poterne, di certo, andare fieri. Il solo fatto che, dopo la Questione romana, sia stato Mussolini a reintrodurlo ufficialmente nelle scuole pubbliche perché simbolo della religione dominante in Italia, dà adito a qualche dubbio sulla reale efficacia dell'esposizione simbolica del crocifisso per rendere migliori gli italiani. Insomma, non è dimostrato che senza quel crocifisso appeso saremmo peggiori. Io ci proverei, foss'anche in nome di Cristo, ma ci proverei. Io penso che un ventennio di prova potrebbe bastare per fare un bilancio.
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