Oggi il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera di Berlusconi indirizzata alla sorella di un alpino.
Soliti discorsi, da normale capo di governo. Retorica di prassi, d'altra parte non si può pretendere altro. Mi piacerebbe sapere se l'ha scritta di suo pugno (non credo), ma non è importante.
M'interessa, invece, riflettere su un'altra cosa. No, non sul fatto se mantenere o meno la nostra presenza militare in Afghanistan. E nemmeno voglio ribadire il fatto che i militari che partecipano a tale "missione internazionale" sono volontari, quindi consapevoli dei rischi insisti del loro lavoro altamente (e giustamente) retribuito. (È normale che faccia più rumore un soldato italiano morto che trecento libici fucilati dai miliziani di Gheddafi perché ribelli).
Io pensavo un'altra cosa. Il nostro esercito è composto soltanto da professionisti. Poniamo che costoro, per una ragione o per un'altra, si rifiutino improvvisamente, e in massa, di aderire alla missione internazionale di "pace" in Afghanistan. Cosa succederebbe? Sarebbero "costretti" a partire per paura di essere licenziati? Oppure si penserebbe seriamente di reintrodurre la leva militare obbligatoria (per ora solo sospesa)?
Domande inutili, forse. Ma quando nella lettera di Berlusconi ho letto che i militari impegnati in tale spedizione sono dei «professionisti che hanno un Ideale, che credono nei valori della Patria» ho cominciato ad avvertire aria di diserzione.
Nessun commento:
Posta un commento