Attraverso misteriosi salti nella rete, stamani, tramite il sito Paulus 2.0, sono atterrato su 30Giorni, il mensile internazionale diretto da Giulio Andreotti (!), dove ho trovato una preziosa intervista (risalente al n° di giugno/luglio 2008) di Gianni Valente al cardinale gesuita Albert Vanhoye in vista di un immente Sinodo.
Stralcio alcuni passi significativi.
Secondo lei, cosa può suggerire un Sinodo del genere a tutta la Chiesa?
VANHOYE: L’instrumentum laboris lo dice molto bene: non si deve identificare la Parola di Dio con la Bibbia. Al tempo di san Paolo non c’era niente di scritto del Nuovo Testamento. Ma san Paolo era consapevole di predicare la Parola di Dio, e si congratulava con i Tessalonicesi perché avevano ricevuto il messaggio proclamato da lui non come discorso umano, ma come Parola di Dio che opera in chi crede. La Parola di Dio è una cosa viva, la Bibbia è un testo scritto. Ha un’importanza speciale perché è un testo ispirato. Ma la nostra fede non è una religione del Libro, non è la religione biblica. La nostra fede è una religione della Parola di Dio viva, accolta, che ci mette in relazione personale con Gesù Cristo, e, per mezzo di Cristo, con Dio Padre.
Parola viva. Benissimo. Chi la parla oggi? O meglio: chi è colui, o chi sono coloro oggi che hanno il dono di intendere (se esiste, claro) tale parola viva? Gli uomini di chiesa, i religiosi, in ispecie i cattolici, hanno accesso privilegiato a tale parola? Hanno un iPod diretto con l'aldilà dal quale scaricano (non so quanto gratuitamente) la parola del Signore? Insomma, Dio Padre parla ancora? E se sì, perché soltanto alcuni riescono ad udirlo e, solo pochissimi, poi, sono autorizzati ad esserne portavoce ufficiali?
«Parola di Dio, ultima e definitiva, è Gesù Cristo», sta scritto nella parte prima dell’instrumentum laboris del Sinodo. Vengono in mente alcune pagine del suo confratello Henri de Lubac...
VANHOYE: De Lubac ha scritto che in Gesù Cristo Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata. Il Verbo si è abbreviato. La Bibbia non è una collezione di trattati filosofico-teologici, non è un percorso didascalico-simbolico per acquisire un set di verità religiose eterne. La Bibbia racconta l’iniziativa di Dio per entrare in contatto con gli uomini, nella nostra storia. Per questo l’incarnazione di Cristo è il “riassunto” di tutta la Parola di Dio. Che non rende inutili le altre parole ispirate, ma definisce il loro senso preciso. La Parola dell’Antico Testamento prende il suo senso preciso grazie alla sua relazione con Gesù Cristo. Ormai noi leggiamo l’Antico Testamento illuminati dalla venuta e da ciò che opera Cristo. Come dice Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni, «voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza». Questo si vede nell’apparizione ai discepoli di Emmaus: Gesù spiega tutto ciò che nell’Antico Testamento riguarda la sua persona e il suo mistero. È stimolante anche l’espressione della Lettera agli Ebrei dove si dice: ormai è un sangue che parla, «con voce più eloquente di quella di Abele». La Parola di Dio si è fatta sangue versato. E parla di un’offerta di amore che vince tutti gli ostacoli all’amore. Se uno dice: Parola di Dio, la formula può trasmettere un’idea intellettuale. Ma se si dice che è un sangue che parla, si capisce che non si tratta di un discorso, di un ragionamento.
Sangue che parla è la Parola di Dio. Sangue versato. Da parte di chi? Da parte delle vittime (quelle autentiche). E a chi dovrebbero parlare, tali vittime? Ai persecutori. Per dirgli che cosa? Che il sangue versato dalle vittime non può riconciliare più i persecutori. Che le ragioni del conflitto che lacera una comunità, una società, un pezzo di mondo, non sono più da ricercare in un unico responsabile. Far fuori il capro espiatorio di turno non porta più pacificazione tra le genti (anche se a volte aiuta: io per esempio, Berlusconi... Gheddafi... Putin... Chavez...). Confusione: oggi i persecutori assumono, tutti, atteggiamenti vittimari. Nessuno al mondo sbandiera più di essere carnefice. Tutti si fanno la guerra per autodifesa. Nessuno si lascia vittimizzare volentieri, però. Figuriamoci crocifiggere. Anche la Chiesa Cattolica, poverina - a parte gli autentici vittimizzati nelle zone in cui i cristiani sono in pericolo di vita (Pakistan e altri paesi a maggioranza musulmana) - non può dirsi autenticamente, da diversi secoli (millenni oramai) una vittima. Eppure la Chiesa ha la pretesa di essere la portavoce ufficiale della Parola di Dio. Ma se la Parola di Dio è sangue che parla, avete mai visto voi, ultimamente, qualche Papa o qualche Vescovo col sangue alla bocca?¹
Sarà retorica la mia, ma prendiamo, ad esempio, la questione attuale dei profughi: perché il Vaticano non si sdà interamente, perché non comincia a bere quel sangue che è la parola di persone disperate di fame, miseria e infamia? Ovvero: sangue che parla?
Qui mi fermo. Ho sermoneggiato abbastanza. Comincia la mia domenica profana.
¹A parte le rare eccezioni, nel Secondo Novecento per es., di un Romero, di un Giovanni Paolo I (la sua fine misteriosa), di un Giovanni Paolo II (quando ricevette una pallottola dall'Agca e nelle sue ultime ore di vita quando rifiutò di essere mantenuto in vita "artificialmente"), e di altri sacerdoti (o religiosi) vittime di associazioni criminali (don Puglisi).
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