Ci sono giorni che odio
Come insulti cui non posso rispondere
Senza il pericolo di una intimità crudele
Con la mano che lancia il pus
Che lavora al servizio dell'infezione
Sono giorni che non avrebbero mai dovuto uscire
Dal cattivo tempo fisso
Che ci sfida dalla parete
Giorni che ci insultano che ci buttano
I sassi della paura i vetri della menzogna
Le monetine dell'umiliazione
Giorni o finestre sopra lo stagno
Che si specchia nel cielo
Giorni del giorno-per-giorno
Treni che portano il sonno a brontolare verso il lavoro
Il sonno centenario
Malvestito malnutrito
Verso il lavoro
La martellata int esta
La piccola morte maliziosa
Che nella spirale delle sirene
Si nasconde e fischia
Giorni che ho passato nelle fogne dei sogni
Dove il sordido dà la mano al sublime
Dove ho visto quanto è necessario dove ho imparato
Che solo fra gli uomini e per essi
Vale la pena di sognare
Alexandre O'Neill, Nel Regno di Danimarca, 1958, in AA.VV., La parola interdetta. Poeti surrealisti portoghesi, Einaudi, Torino 1971 (a cura di Antonio Tabucchi).
Tra quindici giorni si festeggerà ufficialmente il centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Spero che quel giorno, sul palco delle autorità (mentre sfileranno le forze armate e le frecce tricolore), venga ricordato questo sudicio 2 marzo 2011.
Cospargete la strada di vomito: i fiori gettati resteranno ivi incollati, tanto che il vento forte di marzo non li spazzerà via. Il vomito è un buon segno, un segno d'amore: come se si fosse incinti di questa fottuta Italia, che ci tradisce quasi sempre con sorridenti figli di puttana che la trascinano nel loro infimo tornaconto. Vomitare fa bene, marzo aiuta, la luna pure. È necessario rigettare il sudicio che quotidianamente ci gettano addosso. Lo so, si sta male a farlo. Ma pensate al dopo. Un po' di citrosodina, un bel rutto interno (come il ministro) e il sudiciume sarà digerito.
Ogni sorriso è polvere, anche il mio. Abituato com'è a posarsi senza tregua sulle cose, il mio sorriso si augura di «aver imparato che solo fra gli uomini e per essi vale la pena di sognare».
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