martedì 14 giugno 2011

Coscienza di classe


Il proletariato […] si presenta anzitutto come puro e semplice oggetto dell'accadere storico. In tutti i momenti della vita quotidiana, nei quali l'operaio singolo sembra presentarsi come soggetto della propria vita, quest'illusione gli viene tolta dall'immediatezza della sua esistenza: «Il consumo individuale dell'operaio continua dunque ad essere sempre un momento della produzione e della riproduzione del capitale, sia che avvenga dentro o fuori dell'officina, fabbrica, ecc., dentro o fuori del processo lavorativo, proprio come la pulizia della macchina, sia che avvenga durante il processo lavorativo sia durante determinate pause di questo» [Karl Marx, Il Capitale]. Nella vita dell'operaio, la quantificazione degli oggetti, il loro essere determinati da astratte categorie riflessive viene alla luce immediatamente come un processo di astrazione operato sul lavoratore stesso: esso separa da lui la sua forza-lavoro e lo costringe a vendere questa forza-lavoro come unica merce di sua proprietà. Così facendo, l'operaio inserisce questa merce (e quindi se stesso poiché essa non è separabile dalla sua persona fisica) in un processo parziale, meccanico-razionale, che egli trova immediatamente di fronte a sé come definito, concluso e funzionante anche senza di luio: in esso, egli è inserito come un numero puramente ridotto ad astratta quantità, come uno strumento accessorio meccanizzato e razionalizzato.
Il carattere reificato della modalità immediata di manifestazione della società capitalistica viene spinto così per l'operaio sino alle sue estreme conseguenze. È vero: questa duplicazione della personalità, questa lacerazione dell'uomo in un elemento del movimento delle merci ed in uno spettatore (oggettivamente impotente) di questo movimento sussiste anche per il capitalista. Ma per la sua coscienza esso assume necessariamente la forma di un'attività sia pure oggettivamente apparente, di un attivo dispiegarsi del suo soggetto. Quest'apparenza occulta è per il capitalista la vera condizione di fatto: per l'operaio, invece, al quale è precluso questo margine interno di un'attività apparente, la lacerazione del suo soggetto conserva la forma brutale di un asservimento tendenzialmente illimitato. Egli è perciò costretto a subire come oggetto del processo la propria mercificazione, la propria riduzione a pura quantità.

György Lukàcs, Storia della coscienza di classe, 1922, ed. Sugarco, Milano 1991, traduzione di Giovanni Piana, pag. 218-219

1 commento:

Olympe de Gouges ha detto...

"Nella vita dell'operaio, la quantificazione degli oggetti, il loro essere determinati da astratte categorie riflessive viene alla luce immediatamente come un processo di astrazione operato sul lavoratore stesso: esso separa da lui la sua forza-lavoro e lo costringe a vendere questa forza-lavoro come unica merce di sua proprietà".

questa frase nn vuol dire nulla: complessivamente meglio (anche per chiarezza) l'originale: Capitale, cap. I, par. 4: Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano