«Non
bisogna tuttavia dimenticare che questo atteggiamento dipende
strettamente dalla situazione economico-sociale degli scrittori
tedeschi. La povertà e la piccineria delle condizioni tedesche
rendono estremamente difficile l'esistenza indipendente degli
scrittori. Anche per essi, come per gli intellettuali
piccolo-borghesi in generale, la base economica è data dai posti
subalterni della burocrazia statale. Ne consegue non soltanto la
dipendenza materiale, ma nella maggior parte dei casi anche una
limitazione degli orizzonti. E se con l'andar del tempo si sviluppa
in alcune corti un certo mecenatismo, i suoi effetti “liberatori”
non dovrebbero essere sopravvalutati. In parte esso comporta uno
spaventoso sfruttamento delle forze migliori per miseri lavori
burocratici (Herder a Weimar), e in parte si tratta, là dove la
situazione è relativamente migliore, di casi eccezionali. E gli
scrittori che, nonostante questa dipendenza, hanno tentato di
esprimere le loro opinioni con una relativa libertà, dovettero per
lo più espiare con una lunga prigionia nelle carceri dei principi».
György
Lukács, Breve storia
della letteratura tedesca, Einaudi,
Torino 1956 (traduzione di Cesare Cases)
Quanto di ciò che Lukács scriveva sull'illuminismo tedesco può essere riferito allo stato degli intellettuali (di cartello) italiani? Molto, ma con una differenza fondamentale che provo a riformulare così: La povertà e la piccineria delle condizioni italiane rendono estremamente facile l'esistenza dipendente degli scrittori. Anche per essi, come per gli intellettuali piccolo-borghesi in generale, la base economica è data dai posti di rilievo della burocrazia statale e dell'industria culturale e/o di intrattenimento. Ne consegue non soltanto la dipendenza materiale, ma nella maggior parte dei casi anche una limitazione degli orizzonti.
E con gli orizzonti limitati, agli intellettuali resta solo l'auspicio delle riforme. La riforma del titolo quinto della Costituzione: tanta roba da espiare di per sé.
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