«Kierkegaard giudica autentico il problema sollevato da Platone, ma ammette una soluzione diversa dalla teoria platonica del ricordo. Supponiamo che chi deve imparare non abbia dentro di sé la conoscenza; allora, senza conoscenza, non ha alcun mezzo per riconoscere la verità quando la incontra. Ma se invece impara qualcosa, allora, secondo Kierkegaard deve succedere qualcosa di ben strano: qualcosa che rende chi impara differente da ciò che era prima, qualcosa che lo mette in grado di riconoscere una verità che prima non riusciva a riconoscere. Prima di questo cambiamento nella sua natura, costui deve trovarsi in totale ignoranza, deve essere incapace, poiché non conosce verità alcuna, di distinguere il vero dal falso. Poi, all'improvviso, ha luogo un fenomeno di illuminazione, che rimuove l'ignoranza e permette a chi impara di distinguere la verità dalla falsità. In altri termini, l'ipotesi di Kierkegaard spiega la conoscenza non come ricordo, ma come miracolo, un miracolo dovuto a un'inesplicabile trasformazione che ha luogo in chi impara in un momento decisivo della sua esistenza.
Una volta che questo momento di illuminazione si è verificato , ciò che si sa diviene assolutamente certo: si tratta cioè di una conoscenza eterna. Poiché chi impara non è capace di illuminarsi da sé, poiché è totalmente ignorante prima dell'illuminazione, poiché non è in grado di comprendere cosa gli stia succedendo, o come stia succedendo, Kierkegaard suggerisce di chiamare “Dio” la cosa - quale che sia - che causa tale illuminazione. Un Dio del genere - quale che sia la sua natura - deve entrare nella serie di eventi storici che costituisce la vita dell'uomo per produrre questa radicale e completa trasformazione in chi impara».
Richard H. Popkin, Avrum Stroll, Filosofia per tutti, Il Saggiatore, Milano 2008.
Questo mi trova in accordo e in disaccordo, insieme.
Se metto insieme quei quattro/cinque punti di svolta della mia vita e li leggo alla luce di una simile “teoria”, vedo che in essa c'è qualcosa di vero e non vero - insieme - per me.
Il problema di fondo è che ogni illuminazione avuta (se mai ne ho avuta qualcuna) mi ha allontanato, gradualmente, dalla fede, dalla verità - quindi da quella cosa (quale che sia) chiamata Dio.
Un Dio che non mi fa più compagnia, con il quale non so più parlare, figuriamoci pregare, leggere nelle cose del mondo.
Tuttavia, mi trovo d'accordo con Kierkegaard (mi trovo d'accordo con Kierkegaard!) nel fatto che la conoscenza ci tocca in certi momenti decisivi della vita (quali che siano). Sono momenti in cui l'individuo si trova faccia a faccia con un sapere che, o lo lascia nudo nella più totale disperazione (che si trasforma in illogica allegria o in timore e tremore), o lo riveste degli abiti sontuosi del fanatismo (sia esso religioso o di qualsiasi altro tipo).
Io è un po' di tempo che sono rimasto nudo, ma stare qui è come portarmi tutti i giorni alla ruota degli esposti. Non dubito mai che qualcuno là fuori mi raccolga.
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