«La moneta – qualunque sia la definizione adottata – è un valore base, è anche un valore d'uso che non è fungibile, che è permanente, trasmissibile, che può essere oggetto di transazioni e di usi senza essere deteriorata, ma che può essere il mezzo per procurarsi altri valori fungibili, transitori: godimenti, prestazioni. Ora i talismani, secondo noi, fin dalle società più primitive hanno rappresentato la parte di oggetti ugualmente concupiti da tutti, e il cui possesso conferiva al loro detentore un potere che facilmente diventò un potere di acquisto.
Ma, in più, non vi è forse in questo qualcosa che dipende dalla natura delle società? – Prendiamo un esempio. La parola mana nelle lingue malesi-melanesiane-polinesiane designa non soltanto il potere delle sostanze e degli atti magici, ma anche l'autorità degli uomini. Designa ugualmente gli oggetti preziosi, i talismani della tribù, di cui è noto di quali scambi, di quali battaglie, di quali eredità furono oggetto. Non vi è niente di irrazionale in ciò, se riusciamo a rappresentarci lo stato d'animo in cui tali istituzioni hanno funzionato. La forza d'acquisto della moneta non è forse naturale quando è legata a un talismano che, a rigore, può costringere i sudditi dei capi, i clienti dei maghi alle prestazioni che essi richiedono loro? E, inversamente, non è forse necessario, appena interviene la nozione di ricchezza anche se in forma molto vaga, che la ricchezza del capo e del mago risieda prima di tutto negli emblemi che incarnano i loro poteri magici, la loro autorità, in una parola, o che simboleggiano la forza del clan?
[…] Il denaro in un primo tempo non fu usato per l'acquisto dei mezzi di consumo, ma per l'acquisto di cose di lusso, e dell'autorità sugli uomini. Il potere d'acquisto della moneta primitiva, secondo noi, è innanzitutto il prestigio che il talismano conferisce a colui che lo possiede e che se e che se ne serve per comandare agli altri.
Ma non è questo un sentimento ancora molto vivace presso di noi? E la fede vera che nutriamo per l'oro e per tutti i valori che ne derivano, non è forse in gran parte la fiducia che abbiamo nel suo potere? L'essenza della fede nel valore dell'oro non risiede forse nella convinzione di poter ottenere, per suo mezzo, dai nostri contemporanei le prestazioni – in natura o in servigi – che lo stato del mercato ci permetterà di esigere?»
Marcel Mauss, Le origini della nozione di moneta (1914), in Il linguaggio dei sentimenti, Adelphi, Milano 1975 (traduzione di Bianca Candian).
Trovare questo brano, meditarlo. Accorgersi che l'evoluzione umana è ferma dal punto di vista del denaro, del potere. Eppure basterebbe poco per fare una rivoluzione. Non servirebbe, credo, nemmeno una sola arma di offesa. Sarebbe sufficiente uno spostamento dei desideri (ammesso e non concesso che i desideri si possano guidare). Lasciare i ricchi, ricchi – e stronzi. Ovverosia, smettere di credere (questo è facile, dài!) che il denaro dia prestigio, autorità. Quello che più fa arrabbiare, in una democrazia, è proprio questo: moltitudini di non ricchi che affidano, delegano potere ai merdaioli, diventandone schiavi. Il denaro diventa merda quando, da strumento di mediazione per l'acquisto dei beni di consumo o di varia altra natura, si trasforma in uno strumento di prestigio, nel talismano che conferisce autorità.
Noi italiani, poi, che abbiamo un esempio palesemente canceroso del sistema, unici, forse, nel mondo democratico occidentale. Che vergogna, che disagio, che rabbia non potere strapparci di dosso questa impronta di popolo che ha fatto comandare (e fottere) Berlusconi.
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