È ammirevole il professor Panebianco quando spiega, con parole semplici e sintassi piana, cosa sia la politica, nella fattispecie odierna la politica di sinistra.
«Sinistra, in Italia, è un termine che ha sempre avuto un significato diverso da quello che ha nei Paesi che non hanno conosciuto la presenza - per quasi mezzo secolo di vita democratica - di un grande partito comunista, radicato in tanti gangli vitali della società:»
Tanti gangli, sì, tranne quelli della produzione (cooperative a parte, più brave nella distribuzione che nella produzione).
«un partito che, grazie anche al suo rapporto quasi monopolistico con i ceti intellettuali, era il solo legittimo giudice di cosa fosse o non fosse “sinistra”».
Può essere ma, nonostante fosse egemone, la sinistra italiana dell'epoca era molto frammentata: tanti i movimenti, diversi anche i partiti, e non certo succubi del Pci. Tuttavia, la questione è: perché la sinistra italiana nel suo complesso aveva un «rapporto quasi monopolistico con i ceti intellettuali»?
Perché gli intellettuali, anche lei Panebianco, non contano molto, sono come le divisioni del papa: contava, ripeto, e conta ancora oggi il controllo dei mezzi di produzione, il controllo dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, il controllo dell'esercito (servizi segreti, forze dell'ordine compresi), il controllo dei mezzi di comunicazione. E tali poteri il Pci - salvo la iattura del compromesso storico che lo portò a compromettersi - non li ha mai pienamente controllati; e per un partito che raccoglieva i voti di un terzo (a volte abbondante) dell'elettorato, la frustrazione di non essere al potere veniva compensata con il predominio intellettuale che - i borghesi lo sapevano (e lo sanno) bene - produce, più che la rivoluzione, molte seghe mentali sfogate nelle case editrici e nelle università, nelle conferenze uggiose alle case del popolo o nei concerti di musica popolare ai festival dell'Unità, oppure, conseguenza estrema delle seghe, nei vari movimenti minoritari di rivolta rivoluzionaria, alcuni dei quali, poi, passarono all'azione terrorista e omicida.
Comunque, per tornare alla domanda del perché la sinistra aveva un rapporto “quasi” monopolistico coi ceti intellettuali (quel “quasi” è per fare spazio al suo nome, professore?) quello che vorrei chiedere a Panebianco è: egli si è mai chiesto cosa abbia impedito agli intellettuali non di sinistra di diventare dominanti in Italia? Una mera questione di numero? Io ho una mezza idea, tratta da questo post; ne estraggo una frase:
«È a [Benedetto Croce] che dobbiamo il liberalismo meno liberale d’Europa, un liberalismo tutto metafisico, politicamente inerte, perfino un po’ codino».
Forse, se anziché Croce avesse avuto più seguito (più successo) Salvemini, l'Italia avrebbe avuto il liberalismo più liberale d'Europa - ma per il Vaticano sarebbe stato intollerabile, e quindi...
1 commento:
Ottima analisi.
La tua ovviamente, non quella di Panebianco.
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