mercoledì 26 dicembre 2012

Uscire dalla prigione dell'amore*


Amore, la vita
è quando gli occhi tuoi m'avvolgono
la tua parola mi sorride.

Ove il sole non t'illumina
è notte
ove la tua voce non giunge
inferno.

Non cammino se in capo al viaggio
non so che il tuo riso m'attende
non mi volgo ove so che volgendomi
non incontro il tuo volto.

Odio il corpo mio
l'anima mia
perché non sono l'anima e il corpo tuoi.

Il mondo mi pesa enorme
non posso che stringermi a te
fin ch'io non senta più me
più nulla -

quel che di me di tutto rimane
m'affanna mi lega
mi chiude
mi soffoca

amore.

Massimo Bontempelli

Dottore,
una poesia del genere
è possibile dirla e ridirla soltanto
quando il cuore non freme
quando gli occhi non conoscono pianto.

Dottore, sebbene
le dita di una mano
mi siano bastevoli per dire
quante volte sono stato
innamorato

dottore, mi creda:
tali versi di fuoco
non si ha mica il coraggio
di ripeterseli quando
si ha più bisogno

giacché quando
siamo incantati dal sogno
non si vuole capire
quel che ci succede:

si affoga

soprattutto se amore
è qualcosa di unilaterale
qualcosa che graffia
e fa stare male
un solo corpo, una sola mente.

Gentile paziente,
le sue parole mi dicono
che al momento lei non soffre;
ma le medicine, ricordi
vanno prese quando servono:

faccia yoga.

L.M.

*Il titolo, arbitrario, del post deriva dal fatto che la poesia di Bontempelli è la seconda della sezione «Prigioni» del libro dal quale è estratta.

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