«Poi, a un certo punto, moriremo. E sarà bellissimo, perché avremo il tempo di capirci. E capire che saremo stufi delle maree di conformismo da social media come di quelle tutte incessantemente anticonformiste, ma allo stesso modo. Che non ne potremo più di morderci la lingua per non rischiare che una parola di troppo ci costi il posto di lavoro oggi o tra trent’anni. Che ciò che stiamo rincorrendo, sia la fama o l’autocelebrazione, è in realtà raggiungibile quanto la vena che apre le porte della percezione all’eroinomane. Come le mura di casa sembrano un’oasi di ristoro dopo una lunga assenza, torneremo a immaginare la solitudine, il distacco, la concentrazione, la bestemmia, il rigetto, la sporcizia come qualcosa di desiderabile.»
C'è questo post di Fabio Chiusi che,
in parte, ha dato voce a qualcosa che, ieri sera, dopo l'orgia mia
twitteriana (e, altresì, bloggeristica) contra Benigni, mi aveva
nauseato, ovvero lo stare imbambolato davanti allo schermo del
compùtero ad ascoltare (più che a guardare: avevo tirato giù la
tendina del mio mplayer) Benigni portare in scena i principi
fondamentali della Costituzione – e, parallelamente, a cercare io
di cogliere (facilmente, devo dire) i punti di debolezza, gli
sproloqui detti e ridetti, la retorica nazionalpopolare che oramai lo
caratterizza, per farne macinato satirico abbastanza scontato.
Dicevo della nausea, netta, la
percezione di aver esagerato, di aver perso totalmente tempo, la
consapevolezza di ciò che addolorava, la fatica di addormentarsi
dipoi nonostante la fatica, il cazzo ritto, l'occhio spento, i denti
da lavare controvoglia, il freddo ai piedi, uf.
Allora mi sono detto che twitter
non mi fa niente bene, che questa storia degli hastag # è abbastanza
patetica, che forse ha ragione Serra senza avere del tutto ragione (quando scrivi per mestiere occorre una maggiore accortezza parlare di chi no),
che ci sono ottimi battutisti laureati in twitterologia, che forse
anche Karl Kraus o Ennio Flaiano avrebbero usato twitter, chi lo sa,
non è questo il punto, è della mia nausea che io stavo parlando, e
devio, e mi distraggo, ri-uf.
- Mi scusi signor Luca
- Prego, mi dica.
- Che diamine va raccontando?
- Ora mi spiego.
Io non sono né un apocalittico né un
integrato, non riesco più a vedere il nero e il bianco (a parte
Berlusconi, il Vaticano, il capitalismo e i pezzi di merda) e quindi non
demonizzo più un cazzo, sono a favore ma non sono entusiasta, vivo e
lascio vivere, uomo senza qualità, ma credo che tutta questa serie di
tweet mirati a colpire i personaggi pubblici non servano a granché
se, alla fine, non arriva un tweet che dia loro la mazzata finale. Mi
spiego meglio: twitter è come essere dentro una corrida dove noi followi siamo
banderilleros che lanciano banderillas che quasi sempre vanno a
segno, sì, ma la testa di toro di turno gira nell'arena in permanenza, si
dimena, arranca, alza la polvere, e noi giù di freccette
acuminate, non riusciamo a dare la morte neanche con un colpo di spada finale. Mai.
Potrà esserci un tweet regicida? Temo di no.
Solo i più deboli periscono e alla
fine i deboli – è anche a questo che Fabio Chiusi accenna – siamo noi. I potenti, cip cip, anzi: tweet tweet, come se i nostri tweet fossero pidocchi, si spollinano, si
danno una grattata, e tutto finisce nel buco nero della rete.
2 commenti:
Un tweet regicida, proprio no, purtroppo. Il "buco nero della rete" svuota il pensiero di ogni potenziale rivoluzionario. "Aver detto" comincia a sembrare "aver fatto tutto il possibile" per cambiare. Almeno, questa è la mia impressione.
Bella, in questo post, la linea retta con la quale arrivi al cuore del problema.
Grazie mille Anna di questo tuo commento prezioso e del graditissimo complimento al post. Buona giornata.
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