«Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi». Cesare Pavese, Il mestiere di vivere.
Proprio per questo, se la ragione conduce alla morte, occorre abbracciare l'assurdo - e scappare.
Il suicidio trascina sempre con sé il mistero sulle ragioni, sulle cause che hanno portato il suicida a compiere il gesto estremo, a far di sé «l'estremo esecutore degli ordini del fato» (Sgalambro). Per esempio: le "presunte" ragioni di Mario Cal erano estremamente ragionevoli. Vista la situazione, Mario Cal aveva - assurdamente - tutte le ragioni per suicidarsi. Il problema è che, appunto, le sue ragioni non gli hanno lasciato scampo.
Ho sempre pensato che per non cadere nel gorgo della depressione occorra tenere una porta aperta sull'assurdo. Sull'irragionevole. La mente ha bisogno di un'uscita di sicurezza dalle ragioni che la assillano. Le ragioni richiedono una continua lotta per essere affermate e il giochino, questo sì assurdo, del primato di una volontà su un'altra, richiede uno sforzo inutile perché dietro ogni minuto di vita che passa c'è un minuto in meno di vita resta (Montale)
Vuoi subito chiudere la partita perché sei stanco di giocare? È sufficiente andare in panchina, o uscire per strada, e no, non è necessario - anche se è ragionevole - autoespellersi uccidendosi. Esiste una Colono per tutti coloro che si sentono colpevoli e disarmati. Meglio quindi autoesiliarsi ché a morire siamo sempre in tempo. Meglio accecarsi o diventare pazzi, dacché non è escluso che nella cecità o nella follia vengano trovate le vere ragioni per cui valga la pena vivere.
2 commenti:
parti dal presupposto che la vita abbia un valore intrinseco. chi te lo dice?
e poi esistono anche "ragioni irrazionali" per togliersi la vita. per esempio donarla per altri. mi dirai che è razionale? io dico di no. e non parlo di individui che cercando di salvare altre vite perdono la loro (es. pompieri di 9/11), ma proprio di gente che usa la sua vita, se la toglie, per gli altri: ne "la ghirlanda delle rinascite", mi pare, un testo buddhista che racconta le vite precedenti del buddha storico sakyamuni, un episodio lo vede incarnato in un elefante. incrocia dei viandanti mezzi morti di fame, che gli chiedono dove possano trovare cibo (ok, moribondi e parlano con un elefante...). lui risponde qualcosa tipo "poco oltre, dietro quella rupe". poi sale sulla rupe, non visto dai viandanti, e si getta. muore, lasciando il suo corpo come cibo. è una ragione razionale? no. e anzi, il buddhismo è chiarissimo, soprattutto nella versione zen: la ragione è proprio il problema, non la soluzione.
ci sono altri autori più noti a noi: seneca ritiene, come tutti gli stoici, che nel momento in cui sentiamo che abbiamo fatto la nostra parte, allora niente ci trattiene dal toglierci la vita. ci sono ragioni? no, solo l'assenza di ragioni per non farlo.
Nessuno, non me lo dice nessuno (e se qualcuno me lo dice non lo ascolto). Solo: lo sento, lo avverto, lo percepisco.
Il mito buddista che riporti, molto "bello" tra l'altro, mi sembra pertinente anche con le ragioni di Mario Cal, il quale, in un suo biglietto, pare abbia scritto, rivolgendosi alla moglie: «Cara Tina, perdonami. Non ce la faccio più. Ancora una volta ho pagato errori di altri. Tu sai che non ho colpa». Ecco: trovo un'analogia notevole tra questo "pagare errori di altri" di Cal e il gettarsi dal dirupo per morire, per poi sfamare e, quindi, ap-pagare gli altri.
Vediamo ora se al San Raffaele potranno "sfamarsi" sul suo corpo.
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