Due o tre considerazioni intorno alla parola sacrificio scaturite dalla lettura dell'articolo di Barbara Spinelli (su Repubblica di ieri), soprattutto concentrandomi su questo passo:
È significativo che il ministro si sia bloccato, domenica, su una precisa parola: sacrificio. La diciamo spesso, la pronunciano tanti politici, quasi non accorgendosi che il vocabolo non ha nulla di anodino ma è colmo di gravità, possiede una forza atavica e terribile, è il fondamento stesso delle civiltà: l'atto sacrificale può esser sanguinoso, nei miti o nelle tragedie greche, oppure quando la comunità s'incivilisce è il piccolo sacrificio di sé cui ciascuno consente per ottenere una convivenza solidale tra diversi.
Il problema di fondo, forse il punto sul quale molti cadono quando fanno riferimento alla teoria del meccanismo vittimario di René Girard, è proprio questo: qualsiasi sacrificio per essere efficace come lo era nelle civiltà del passato, presuppone che non ci sia consapevolezza negli attori che prendono parte a tale meccanismo; ovvero che la comunità coinvolta in una crisi sacrificale di vario genere (tipo la peste a Tebe o la crisi economica in Italia o in Europa), passi quanto prima - e quasi miracolosamente - dal tutti contro tutti al tutti contro uno senza interrogarsi troppo sul perché di questo passaggio arbitrario. E il punto fondamentale affinché il sacrificio funzioni è che anche la vittima prenda parte a questo gioco senza ribellarsi, ma anzi essa sia disposta a riconoscersi colpevole responsabile dei crimini che hanno sconvolto la comunità e si lasci sacrificare tranquillamente.
È il caso di Edipo che accetta di buon grado la sua sorte per salvare Tebe dalla peste: egli si riconosce colpevole di parricidio e di incesto e, per questo, si autoacceca e si autoesilia.
Con la modernità le cose si fanno più complicate: quel guastafeste di Gesù Cristo (sia esistito o meno) - vero e proprio luddista della macchina sacrificale - ha inceppato il meccanismo intestardendosi fino in fondo sulla sua innocenza. Eppure anche lui era destinato ad avere successo come capro espiatorio perfetto. Caifa stesso ne prevedeva il destino con la famosa frase, apoteosi del politico: è meglio che muoia un uomo solo che perisca l'intera comunità.
La Spinelli è in errore, dunque, quando crede che, facendo piccoli sacrifici consapevoli, la comunità incivilita ritrovi l'armonia. E questo proprio perché i sacrifici consapevoli sono destinati all'insuccesso, in quanto non hanno quell'effetto farmacologico di espulsione dei veri responsabili della crisi. Soprattutto: ben pochi tra i sacrificati odierni accettano di buon grado, come Edipo, di mettersi le dita negli occhi e di fare mea culpa in quanto nessuno ha oggi, per quel che concerne i guasti del sistema economico, la vocazione al martirio. Spalmare sulla moltitudine la responsabilità della crisi, facendo credere che con un piccolo sacrificio di sé si possa, nuovamente, «ottenere una convivenza solidale tra diversi» è, ancora una volta, ricorrere al trascendente per risolvere problemi che sono meramente immanenti. La crisi attuale non è provocata da chissà quale dio malevolo, dal destino o perché la comunità nella quale viviamo deve espiare chissà quali peccati contronatura. La crisi economica è quanto di più umano ci possa essere; e rivolgersi a delle dinamiche sacrificali per risolverla è, ancora una volta di più, misconoscerla, mitizzarla, perché se tutti diventiamo colpevoli e meritevoli di sacrificio, non c'è più nessun colpevole, e il sacrificio non ha alcun valore.
Quindi, dato che ormai siamo persone civili che non portano più agnelli sacrificali umani in cima ai monti per offrirli a Dio, sarebbe logico e responsabile compiere un'operazione di giustizia nell'individuare le vere cause del disastro e trovare capri espiatori ben pasciuti, ricchi di sangue (leggi: denaro e capitali vari) e sgozzare (metaforicamente) quelli. Perché il sangue dalle rape ancora non c'è riuscito nessuno a ottenerlo. E le rape siamo noi.
A parte.
Segnalo la lettura preziosa che Federica Sgaggio ha dato anch'essa dell'articolo della Spinelli.
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