Nel
trentanove, ultima annata buona,
nel
cuoio antico della sua poltrona,
Ciano
a Palazzo Chigi aveva inciso
col
temperino un profetico avviso:
«Attenti
al culo». Vi sedé Guariglia:
la
frase parve adatta a meraviglia.
Quando
v'andò a sedere Giovannino
quel
nome a quella frase andò a pallino.
Poi vi
sedé l'Alcide, e il «cul» rimase.
Andò
Pietro a seder su quella frase:
col
«cul» di Ciano combaciò a puntino.
Poi
v'andò Carlo, Conte palatino.
E non
s'accorse del fatale andazzo
che
ancor regna in quel nobile palazzo:
egli
pure sedé sul «cul» di Ciano.
Non
bada al cul la Storia: e non è strano
che il
Conte Carlo, in storia patria dotto,
al cul
non badi e non ne faccia motto.
Curzio Malaparte, L'arcitaliano, Vallecchi, Firenze 1963
[...
aggiunta spuria]
E dopo
tanti anni, a un certo punto,
su
quel «cul» sedé a lungo un “unto”
che
prese per il culo il popol tutto
pensando
ai cazzi suoi proprio di brutto.
Lasciò
l'Italia in mano a un professore
che
subito s'è avvisto di tale scempio
e al
posto di «cul» ci vuole scriver «cuore»
rinunciando
allo stipendio, per esempio.
Ma le
soluzioni proposte sono dure:
per il
popolo è sempre lo stesso andazzo.
Allora,
tra tante parole assai impure,
tanto
val che accanto a «cul» ci scrivan «cazzo».
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