«Sapiente è colui che getta una luce nel buio del passato. Indecifrabile, sfuggente è la natura di ciò che è già stato. Se guardiamo il passato, se cerchiamo di recuperarlo, ci sembra allora di perdere la vita; se guardiamo la vita, scopriamo il passato. Ciò che è trascorso da un istante, o da un millennio, è identicamente perduto. Nel grido della felicità, nell'urlo della disperazione, ecco, in quell'attimo che è già una risonanza, la vita immediata è svanita ormai, dileguata per sempre. Ma noi ci aggrappiamo a quel passato, non vogliamo perderlo: tutta la nostra esistenza cosciente non è che eco, propagazione di quella vita.»
Ma anche basta, mi dici,
forse è vero, inutile aggrapparsi a un passato che, volente o
nolente, più non mi appartiene. La vita, comunque tu la guardi,
passata, presente, futura, è qualcosa che non puoi mai avere la
certezza che quella che vivi sia la vita giusta, la tua, inutile andare in giro
inorgogliti a mostrare il tesserino o le stellette dei vissuti e dei
dati di forza. Certamente c'è chi gode e chi patisce, ma qualsiasi
cosa è così aleatoria. Cosa fai la collezione di emozioni? Conti i
battiti del cuore? Gli orgasmi? I mal di testa o il bruciore di
stomaco?
«Le onde vanno attenuandosi, in gridi, in attimi, in struggimenti, in ricordi, in fantasie, in pensieri. E nel fluire digradante di quelle ripercussioni nuovi scotimenti intervengono, cosicché le increspature si intrecciano e si confondono. Se ci inoltriamo più indietro ancora, per scoprire la vita sorgiva da cui è scaturita l'onda che sempre ci avvolge, naufraghiamo nel buio dell'irrappresentabile; non ci giova aver abbandonato il sussulto evanescente di ciò che vive ora.»
Il
ricordo, sì, il ricordo. Mi ricordo i giorni belli quando eravamo
innamorati e mi facevi disegnare le tue labbra con la matita e io
invece di passarla sulle labbra scrivevo “facciamo
l'amore” sulle tue guance. Ma
di cosa sto parlando? Della vita tua, io che non capisco cosa tu
voglia da me, perché mi hai cercato, mi hai eletto, mi hai votato,
almeno mi avessi mandato in Parlamento, io che probabilmente adesso
sarei nella commissione sottocultura. Pare strano conoscersi da così
poco e subito scambiarsi parole di possibile intesa. Ci fossimo
pagati, ma non eravamo in compravendita. Avevamo una stanza del cuore
vuota, così triste, con le persiane serrate, abbisognava d'aria, noi
gliela abbiamo data, gliela stiamo dando, lasciamo che entrino i
raggi dicembrini.
«Se invece voltiamo le spalle al passato, e sezioniamo ciò che ci sta di fronte per cogliere la vita mentre fluisce in noi, allora ogni volto, forma, corposità, colore, figura della vita che ci circonda sembra ovunque scomporsi in frammenti di passato. La concretezza del mondo presente è un'astrazione mascherata, lungamente elaborata prima di noi e da noi, ogni fremito è una menzogna, ogni immagine è un miraggio»
Dici, guarda un po' che
macchina mi sono comprato, domani vado a Santo Domingo con l'amante,
domani vado in ospedale, domani vado a fare in culo. E poi ti dicono
dagli altipiani del potere (non certo quelli del Pamir) come fare per
sopportare la schiavitù, sai c'è la crisi, bisogna fare dei
sacrifici. Ma io non credo, sono quasi ateo, non me ne frega un cazzo
nulla del sacro, falli te i sacrifici, prendili te i voti, ho le
tasche vuote, brutto scemo ostinato dei mantra dello Stato. Sì, ma
lo Stato lo si comanda guardando al grande numero, mica
all'individuo, perché statisticamente
è comprovato... La Statistica è la nuova Inquisizione. Se non
rientri nei parametri sono casini. Diciamo meglio: la Statistica è
la moderna macchina inquisitoria di produzione in grande scala di
capri espiatori. Adesso tocca alle pensioni, forza, il passato è
passato, chi ha avuto ha avuto, eccetera, vero signora? Come mi dice,
lei è in pensione da vent'anni? Ma quanti anni ha? 59? Ah, era nelle
ferrovie, lo scivolo, 21 anni di lavoro, ultimi stipendi a duemilioni
e ottocentomila lire, 1500 euro al mese, benissimo. Oddìo che
bruciore di stomaco, no, non è colpa sua, è che non capisco, non ce
la faccio, io devo trovare una via d'uscita, devo trovare una pepita,
te.
Tutte le citazioni e il titolo del post sono tratti da
Giorgio Colli, Dopo Nietzsche,
Adelphi, Milano 1974, pag 75
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