Voi capite, il cielo richiede condizioni particolari per disporre le nuvole come un lago dove tuffare i pensieri del passato, farceli nuotare come due giovani sorridenti che si godono corpo e anima facendo finta di essere felici.
Voi capite quanto sia frustrante non saper volare in certe occasioni, a rasonuvola, senza ali, senza motori - e se chiudo gli occhi e immagino di farlo, voi capite, non è affatto la stessa cosa, lo stesso sogno.
La natura non ha l'obbligo di emozionarci; siamo noi che abbiamo il diritto del contrario. In fondo, cosa sarebbero queste nuvole senza noi che le stiamo a guardare, ora? Un semplice nulla, una composizione di vapore acqueo e altri agenti inquinanti - del quale gli abeti intorno se ne sbatterebbero i rami. E finalmente, con somma presunzione, provo a definire uno dei possibili significati della nostra presenza di esseri coscienti. La natura aveva bisogno di qualcuno che la raccontasse, si sentiva sola, aveva bisogno di memorie. Ne siamo una, noi umani, moltiplicata per millanta. La chiamano memoria collettiva, e se in essa, un giorno, qualcuno troverà traccia di questo pensiero inutile, vorrà dire che ho strappato un piccolo fiore al caso, una manciata di senso che bagna la pelle senza piovere.
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